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Quirra: democrazia sospesa

Il cordone che ha impedito al corteo di partire.

Dobbiamo mettercelo in testa, la questura e prefettura di Cagliari sono le massime autorità politiche presenti in Sardegna. La dimostrazione definitiva è arrivata il 28 aprile a Quirra, in occasione del corteo contro le basi organizzato da A Foras e che non ha mai avuto luogo. Perché? Perché tre cordoni di polizia, ciascuno composto da almeno tre file di robocops, hanno impedito ai circa quattrocento manifestanti convenuti di muovere anche un solo passo lungo il percorso che era stato comunicato con larghissimo preavviso. Continua la lettura di Quirra: democrazia sospesa

Denunciati e censurati

Quello che ora vi raccontiamo è ridicolo. Farebbe ridere se non fosse successo veramente.
Oddio, non è proprio vero, in realtà abbiamo riso. E anche tra le divise blu qualche risata è scappata.
Una storia di arroganza da distintivo, che però è meglio non seppellire con una risata e raccontare. Una storia che speriamo di poter raccontare meglio quando avremo a disposizione più materiale giudiziario.

E’ il 14 Novembre 2016 e intorno alle 15,30 alcuni signori inviati dalla Procura della Repubblica di Oristano bussano alle case di tre nostri compagni con in mano un foglio il cui oggetto è “Biglietto di invito”: siamo invitati a comparire in Tribunale il 18 Novembre. Per un compagno che studia in Italia si è dovuta addirittura scomodare la Procura di Bologna.
Cosa sarà mai successo? Non abbiamo ricordo di situazioni di piazza in cui ci siamo fatti prendere la mano o altri fatti rilevanti.
La mano a quanto sembra ce la siamo fatta prendere sulla tastiera del pc. In tribunale scopriamo, infatti, che sono in corso delle indagini sul nostro blog https://lafuriarossa.noblogs.org/. C’è stata una querela contro ignoti e siamo ascoltati come persone informate sui fatti.
Un articolo pubblicato il 22 Gennaio 2015 ha infastidito qualcuno.
Da quel che siamo riusciti a capire questa denuncia in un primo momento è finita nel cestino: troppo ridicola, c’è altro cui pensare.
Il querelante (o i querelanti) capriccioso(i) non ci sta(nno) e fa(nno) opposizione.
L’offesa è troppo grossa, non potete chiuderla così!
Per capire il contenuto dell’articolo occorre tornare proprio a quella data.
Arborea, strada 22 ovest: dopo mesi di resistenza e solidarietà da tutta la Sardegna la famiglia Spanu viene sfrattata dopo che la sua proprietà fu messa all’asta e venduta al solito avvoltoio per meno di un quarto del suo valore. Quel che si vede in quella strada ha dell’incredibile: “a ruota sono arrivati i carabinieri e i poliziotti in assetto antisommossa, avanguardia di un numero imprecisato di carabinieri, poliziotti, vigili urbani e forestali a blindare l’azienda e perfino un elicottero della polizia più una squadra dei vigili del fuoco, due ambulanze, un carro attrezzi e una autocolonna di camion per caricare gli animali e i beni della famiglia Spanu”, così scrive la Nuova Sardegna il 23 Gennaio 2015. “La guerra di Arborea: in cento contro una famiglia” titola il videoreportage di CagliariPad (http://www.cagliaripad.it/videogallery.php?page_id=1434). A quella giornata seguiranno denunce e condanne per tanti solidali che erano lì a opporsi coi propri corpi all’arroganza dei signori dell’ordine.
La sera stessa con tanta rabbia in corpo abbiamo scritto un piccolo articolo sul nostro blog: “SFRATTI E SGOMBERI. E’ ORA DI ORGANIZZARSI”.
Scrivevamo a chiare lettere chi erano i responsabili di quel blitz e brevemente analizzavamo la situazione sfratti in provincia di Oristano. L’articolo si apriva imputando la violenza dello Stato, in quella specifica situazione ai tre soggetti coordinatori, di cui si faceva nome e cognome: il questore di Oristano, il capo della Digos di Oristano e il primo dirigente. Non riportiamo l’intera introduzione perché la follia potrebbe portare a una deroga delle indagini; vi rimandiamo a quanto ne rimane (non per volontà nostra) nell’anteprima: https://lafuriarossa.noblogs.org/post/2015/01/.
Un commento duro, sicuramente, ma di certo non più duro del blitz mattutino; un commento che riteniamo non vada oltre i limiti della libertà di scrivere ciò che pensiamo; una opinione politica che non accettiamo possa essere ridotta in termini di codice penale.
Quel piccolo pezzo, comunque. dovrebbe essere la parte incriminata.
Non sappiamo se il querelante sia stato solo il signor Questore o anche gli altri due colleghi ma a quanto pare questi soggetti non sono avvezzi alle critiche: se li critichi vieni denunciato.
Come se non bastasse nel Gennaio 2016 i signori in questione ottengono da parte della magistratura la cancellazione forzata dell’articolo e la pagina viene oscurata.
Una censura politica in piena regola dal sapore arcaico.

Signori, il crimen laesae maiestatis è stato abrogato da un pezzo.
Tornate sulla terra.

Ma quale black bloc? A Decimomannu la lotta l’abbiamo fatta tutti.

Giovedì 11 giugno a Decimomannu un corteo determinato è riuscito ad arrivare fino alle reti dell’aeroporto militare, a costo di confronti anche duri con le forze dell’ordine. Non eravamo tantissimi, circa 200 persone, ma tutti compatti e concentrati sull’obiettivodecimo1 di raggiungere le reti e dare un forte segnale, nonostante i 12 km di corteo sotto il sole cocente e in mezzo alla polvere e alle sterpaglie. I principali giornali sardi, impreparati di fronte a una reazione di questo tipo, dal momento che loro portano avanti continuamente una campagna di giustificazione della presenza delle basi in Sardegna, hanno iniziato a delirare sulla presenza di infiltrati del blocco nero provenienti dalla penisola.  C’erano persone provenienti dal Continente, compagni e fratelli che lottano contro le grandi opere o le basi militari nelle loro regioni,  ma nessun infiltrato e nessun membro del blocco nero.  Tutti quanti i partecipanti al corteo hanno condiviso la scelta di affrontare i manganelli della celere pur di arrivare fino alle reti, e chi si mette a volto coperto lo fa per tutelarsi da ritorsioni legali e personali. La prima carica della polizia è arrivata a freddo su un gruppo di manifestanti a volto scoperto e mani nude e ha avuto, come risultato la testa spaccata di un compagno di Cagliari. Nervosismo e paura, questa l’aria che si respirava tra le forze dell’ordine, che non si aspettavano minimamente un corteo così compatto nella scelta di resistere alle cariche e nel perseguimento dell’obiettivo. Giovedì  a Decimo non è stata messa in scena la classica rappresentazione del conflitto, giovedì il conflitto è stato reale. Certo, i numeri devono crescere, ma questo è stato un piccolo passo in avanti verso la formazione di un movimento ampio e popolare di lotta contro le basi, libero da una gestione politico-istituzionale.

A DECIMOMANNU C’ERAVAMO TUTT*!

SFRATTI E SGOMBERI. E’ ORA DI ORGANIZZARSI.

5823373730103327951251545643310nOggi ad Arborea la violenza dello stato italiano aveva il volto di Francesco Di Ruberto, questore di Oristano, di Vincenzo Valerioti, capo della Digos di Oristano, di Pino Scrivo, primo dirigente; aveva il volto di tutto gli uomini al loro seguito e di centinaia di celerini, canis de isterzu, anche oggi pronti a portare a casa la pagnotta sulla pelle e la sofferenza altrui.
Una operazione militare in piena regola, con un costo che non ci è dato sapere, portata avanti in modo “esemplare”: l’ unico modo che ci si può aspettare da questi signori.

La nostra è una delle province più povere dello stato italiano e proprio i dati sugli sfratti sono ben esemplificativi della situazione drammatica che si è venuta a creare: se nel 2012 gli sfratti eseguiti con l’intervento dell’ufficiale giudiziario sono stati 7, nel 2013 sono stati ben 57 con una variazione del +714,29% che corrisponde alla più alta variazione di tutte le province dello stato italiano (non sono ancora disponibili i dati del 2014).
L’elemento più preoccupante attorno a questi numeri è il silenzio: 57 sfratti in una provincia come la nostra non passerebbero inosservati e invece avvengono nel silenzio delle famiglie (quello della famiglia Spanu è un caso raro per il rumore che ha fatto e diverso per le motivazioni che vi stanno dietro non essendo eminentemente legate a morosità incolpevole o altre impossibilità di pagare l’affitto), silenzio che equivale a vergogna. A questo punto occorrerebbe un’analisi sociologica del nostro territorio che non siamo in grado di fare, ma dalla quale emergerebbero i necessari caratteri che distinguono i nostri paesi dalle dinamiche sociali di una metropoli; e così da una parte la tipicità delle nostre piccole comunità nell’affrontare le difficoltà sociali che si collegano al forte ruolo che svolge la famiglia in senso ampio come comunità di base, luogo confinato fuori dal quale non bisogna portare determinate questioni; dall’altra il carattere tipico di quelle comunità che storicamente non sono state attraversate dal conflitto sociale e quindi prive oggi come ieri di strutture capaci di diffondere e organizzare la cultura del conflitto e il conflitto.
Quello che bisogna essere capaci di fare oggi è andare a smuovere quel silenzio creando anzitutto solidarietà come quella che si è vista oggi ad Arborea; affrontare la vergogna della povertà non riducendola al caso singolo ma facendone un problema comune e ribadendo fortemente che la vergogna non è la povertà bensì la logica di un sistema economico che mantiene intatte le condizioni per una distribuzione del reddito e delle ricchezze che dire aberrante è poco; mettere in discussione la sacralità della proprietà privata e di conseguenza l’equazione giustizia=diritto.
Occorre ragionare su come mettere in moto anche nel nostro territorio una rete pronta a mobilitarsi ad ogni evenienza, tante sono le strade già tracciate e vincenti.

LA REPRESSIONE SULLE DROGHE E I BECCHINI

Antonio Maria Costa non è una bella persona. Nel 2006 riuscì a eleogiare il regime iraniano per il trattamento riservato a chi fa uso e traffica in sostanze stupefacenti: l’impiccagione. Eppure dev’essere intelligente se è stato per anni il capo dell’UNODC, l’agenzia ONU che si occupa di droghe e crimine, e si sa che sono solo gli imbecilli a non cambiare mai idea. E lui, infatti, almeno una volta nella sua vita ha cambiato idea, e ha messo tutto per iscritto nel rapporto 2009 sulla droga nel mondo, prodotto dall’UNODC appunto. Quel rapporto, che ebbe un notevole risalto mediatico, mise in luce come le strategie repressive di lotta all’uso di sostanze stupefacenti fossero risultate, in più di un secolo di applicazione, fallimentari. Per chi non si fida ecco il link dell’articolo di repubblica.it dell’epoca: Droghe, la svolta dell’ONU. Prendiamo un paio di frasi giusto per mettere in luce il senso del rapporto, ma non sarà difficile con una ricerca su google trovare più informazioni e il testo completo in inglese:  “Meno impegno della polizia con gli utenti, di più con i trafficanti”, scrive Costa nella prefazione, e ancora “il controllo delle droghe non sta funzionando”. Il relatore del rapporto, sicuramente meno vincolato da politica e diplomazia,  Anand Grover, scriveva nelle raccomandazioni finali: “Decriminalizzare o depenalizzare il possesso e l’uso di droghe”; ” Prendere in considerazione la creazione di un quadro regolatorio alternativo per il controllo delle droghe nel lungo termine, basato su di un modello come quello della Convenzione Quadro per il Controllo del Tabacco.”

Depenalizzare il possesso e l’uso, tramite l’istituzione di un quadro normatorio modellato su quello che regola l’uso del tabacco, e rafforzare il contrasto all’azione dei trafficanti. Questo era scritto nel rapporto 2009.

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