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Terapie intensive: nell’isola 24 posti letto in più dall’inizio della crisi

Ma dove vogliono andare? Potremmo domandarcelo con ironico distacco, pensando alla strategia Solinas per l’avvio della Fase 2 in Sardegna. Il guaio, però, è che dove vanno loro andiamo anche noi. Già, perché Solinas è il capitano di questo malandato Titanic, che punta a ripartire dopo un’avaria senza porsi la domanda fatidica: “Incontreremo degli iceberg, sul nostro cammino?”.

Ne dà notizia oggi l’Unione Sarda, ma la fonte originaria è il Corriere della Sera: in Sardegna, ad oggi, ci sono 158 posti letto in Terapia Intensiva.All’inizio dell’emergenza, in condizioni ordinarie dunque, ce n’erano 134 e l’aumento perciò ammonta a 24 letti in più. Nieddu non accetta questi numeri, scrive Massimo Ledda sul quotidiano cagliaritano: «Noi siamo stati fra i primi in Italia a organizzare un piano modulare per fasi che ci consente di attivare i posti in terapia intesiva mano a mano che ci servono e si creano delle necessità. Attualmente abiamo 17 pazienti in terapia intensiva e 141 posti liberi, che senso avrebbe attivarne agli altri?».

Sembrerebbe quasi ragionevole, a un primo sguardo, non fosse che questo piano modulare ha già dimostrato di non essere così efficiente. A Oristano, ci sono volute varie settimane per attivare il reparto Covid del San Martino. Troppe, tanto che il giorno che sei pazienti con difficoltà respiratorie si sono presentati al Pronto Soccorso il sistema è andato in tilt. Se ci fosse stato un reale boom di contagi, il tracollo sarebbe stato immediato. E tragico.

D’altra parte, anche il discorso sui posti liberi “inutili” di Nieddu sembra reggere poco. Forse i tedeschi si ammalano più degli italiani o dei sardi? Improbabile che le differenze siano significative. Eppure hanno molti più posti letto in terapia intensiva. È lecito immaginare che quei lettini restino vuoti la maggior parte del tempo, eppure… eppure quel surplus è al momento la sola spiegazione razionale disponibile del basso tasso di mortalità tedesco in relazione all’epidemia.

Ma la parola d’ordine, ora, è riaprire tutto. Uno slogan vuoto, in realtà, tanto varrebbe gridare “Perché io valgo!”. La situazione economica, e umana, delle persone comuni è già tragica, questo è innegabile. Ma se non vogliamo che a tragedia si aggiunga tragedia, allora bisogna assumere un punto di vista più complesso. Qui, in Sardegna, non siamo in una situazione di epidemia o di pandemia e non lo siamo mai stati. Questo vuol dire che la Fase 2, e la Fase 3 e la 4 fino alla Fase n, deve essere gestita evitando che accada ciò che non è accaduto finora. Il primo problema è quello dell’allocazione delle risorse pubbliche: per la sanità sarda si spende tanto, nonostante i tagli, è evidente allora che il problema sta nel come si impiegano i soldi. Finanziamenti ai privati, spese clientelari, mascherine acquistate a prezzi speculativi… chi più ne ha più ne metta. Potenziare le terapie intensiva, ovviamente, comporterebbe un aggravio nel bilancio regionale. Ma se questo serve a raggiungere l’obiettivo della sicurezza sanitaria di chi abita nell’isola non vediamo quale sia il problema. Le risorse si prendano altrove. Pensiamo solo a quanti milioni di euro sono stati buttati nel corso degli anni dalla RAS per finanziare quei programmi di sfruttamento legalizzato che vanno sotto il nome di tirocini! Poca roba rispetto alle esigenze? Forse è vero, ma è solo uno dei capitoli di bilancio nei quali si può pescare.

In conclusione, ci vuole buon senso e fiducia nei cittadini. Molte limitazioni possono essere allentate, ma è necessario che il sistema sanitario sia pronto. Non basterà comunque, una cosa è chiara: se il sistema economico-produttivo resta quello che abbiamo conosciuto fino ad oggi, l’eventuale ripresa non riguarderà la popolazione isolana nel suo complesso, ma vedrà crescere sempre di più le ineguaglianze.

Foto: una stanza di terapia intensiva, di Norbert Kaiser – Fotografia autoprodotta, CC BY-SA 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1955393