Rifugiati: perché Oristano non partecipa al sistema SPRAR?

Il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati è un sistema pubblico di gestione dei richiedenti asilo e dei rifugiati, finanziato dal Ministero dell’Interno tramite il Fondo nazionale per le politiche e i sistemi di asilo. Il Sistema SPRAR attualmente mette a disposizione 26012 posti per richiedenti asilo e rifugiati, di cui 2007 dedicati a minori non accompagnati e 592 per persone con disagio mentale o disabilità.

La Sardegna è la terzultima regione per numero di enti locali aderenti al sistema SPRAR fra le 19 regioni coinvolte; partecipa al sistema solo con 9 progetti per un totale di 208 posti, penultima regione succeduta solo dal Trentino Alto Adige con 149 posti.
Lo SPRAR funziona come sistema di “seconda accoglienza” per i richiedenti asilo e i rifugiati, con la partecipazione attiva degli enti locali e dei soggetti del terzo settore.

A differenza dei Centri di Prima Accoglienza, deputati appunto al soccorso immediato e ad una prima scrematura dei soggetti arrivati sul territorio nazionale, lo SPRAR garantisce una protezione temporanea di 6 mesi, prorogabili, duranti i quali viene processata la domanda di asilo da parte della Commissione Territoriale competente, che stabilisce se il richiedente possa godere o meno della protezione internazionale e quindi restare sul territorio nazionale.

Questo Sistema garantisce in primo luogo la trasparenza nell’utilizzo dei fondi pubblici, e in secondo luogo quella “accoglienza decentrata” volta a favorire buone pratiche e processi di integrazione per i soggetti vulnerabili.

E’ auspicabile dunque che si apra una discussione pubblica circa l’opportunità di aderire al Sistema SPRAR, condividendo questa scelta importante con la popolazione che saprà certamente dare prova di grande maturità e accoglienza. Ci sembra doveroso che anche il comune di Oristano faccia la sua parte in questo momento di grande difficoltà. E’ utile inoltre ricordare che la Sardegna al momento ospita 5668 migranti su una popolazione di 1.639.362, cioè lo 0,34%. Gli stranieri regolarmente residenti sono invece 45079, di cui più della metà sono donne. Gli stranieri rappresentano dunque il 2,7% della popolazione, di cui più della metà sono provenienti da paesi del continente europeo. Chi parla di sostituzione etnica o è volutamente in malafede o non sa di cosa parla.

Dare accoglienza ai rifugiati e ai richiedenti asilo ci sembra un obbligo morale, politico e anche giuridico. L’articolo 10 della costituzione italiana recita infatti che “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.

D.S.

Ateneo unico e diffuso contro lo spopolamento della Sardegna

Ecco l’infografica di SSEO sulo spopolamento della Sardegna fra sessant’anni.

Il Sardinian Socio-Economic Observatory lancia l’allarme: entro sessant’anni la Sardegna perderà il 34% della sua attuale popolazione e si attesterà sul milione di abitanti, diventando l’isola europea (esclusa l’Islanda) con la minore densità di popolazione (Qui l’articolo).

 

Pur essendo privi delle basi scientifiche necessarie allo sviluppo di un’analisi seria in materia, e dunque con estrema umiltà, presentiamo un ragionamento che collega la questione dello spopolamento (e dell’emigrazione giovanile) alla struttura attuale dell’università in Sardegna.

Il punto di partenza è una ricerca dell’ERSU Cagliari del 2012 (qui), che è stata ripresentata però qualche settimana fa suscitando un po’ di dibatitto. Gli autori della ricerca dicono: “è emerso che gli universitari a Cagliari spendono in media 607 euro al mese. In totale: circa 8 milioni al mese e quasi 100 milioni all’anno se si considerano i fuori sede”. Non intendiamo entrare nel merito dei singoli aspetti della ricerca, tutti molto interessanti e che potete scaricare da un link alla fine della pagina dell’ERSU richiamata più in alto. Sottolineiamo solo che la maggior parte degli studenti iscritti all’Università di Cagliari sono fuorisede.

Ora, cosa significa, fra le altre cose, tutto questo? Significa fondamentalmente che ogni anni 100 milioni di euro vengono drenati dalla ricchezza di tutto il resto dell’Isola e trsferiti a Cagliari. La stessa Cagliari che in quanto città capoluogo (ormai metropolitana) ha un maggior accesso ai finanziamenti regionali e nazionali, la stessa Cagliari che per il suo peso demografico ha una maggiore rappresentazione degli interessi all’interno del Consiglio regionale. Inoltre una cifra variabile tra i 15 e i 20 mila giovani si allontana dal proprio paese o città e si trasferisce a Cagliari per almeno tre anni, e questo significa una sottrazione di risorse culturali e lavorative enorme.

La considerazione di questi fatti ci sembra imprescindibile nell’ambito dell’analisi dei problemi dello spopolamento, perché questo fenomeno si verifica su due livelli: quello generale della Sardegna e quello particolare, che vede sul lato in guadagno Cagliari e su quello in perdita tutto il resto dell’Isola. E non è un problema solo dell’interno, anche se lì è sicuramente più grave; senza bisogno di dati, ci rendiamo conto da soli che a Oristano siamo sempre di meno, fra chi parte fuori per lavoro e chi per studiare.

Arriviamo dunque alla proposta, che forse potrebbe essere definita meglio uno spunto di riflessione. La presentiamo con umiltà e senza alcuna velleità di fornire la ricetta contro lo spopolamento e l’impoverimento della Sardegna. Siamo poco più di un milione e mezzo e, se non fosse per il pessimo livello del sistema di trasporti, il territorio che occupiamo sulla terra non è così spropositato e gli spostamenti interni non sarebbero così impraticabili. Sia in una prospettiva indipendentista, che in una autonomista, dobbiamo imparare da ciò che abbiamo subito sulla nostra pelle: il centralismo è un male, l’indipendenza con Cagliari al posto di Roma è un obiettivo non degno di essere perseguito, il potere va diffuso quanto più possibile sul territorio e ogni comunità deve potersi autodeterminare. Nel caso dell’Università potrebbe sembrare che la presenza di due atenei sia un antidoto contro il centralismo, ma se vai a vedere nel concreto ti accorgi che quegli atenei, rappresentanti fondamentalmente degli interessi delle città in cui sorgono (Cagliari e Sassari), rafforzano anziché indebolire la condizione di marginalità del resto dell’Isola: progetti di ricerca, investimenti, ricaduta e indotto economico riguardano quelle due grandi città. Esempio lampante è che nelle ultime settimane solo una forte mobilitazione ha portato la rettrice dell’Università di Cagliari a rinunciare alla chiusura dei corsi tenuti presso il Consorzio UnO di Oristano, chiusura che avrebbe implicato l’attivazione di corsi uguali ovviamente a Cagliari.

Crediamo che la creazione di un ateneo unico, a determinate condizioni, potrebbe essere un modo per invertire la tendenza allo spopolamento e all’impoverimento della Sardegna. Quali sono queste condizioni? Intanto che l’Ateneo non sia sotto il controllo del Ministero, ma sotto quello della Regione; Regione che, con le opportune modificazioni della legge elettorale, deve garantire una sovrarappresentazione dei territori che non rientrano nell’area metropolitana di Cagliari. Inoltre quest’ateneo unico della Sardegna dovrebbe essere diffuso, come funziona adesso a Cagliari, ma in grande su tutto il territorio regionale: determinate città (pensiamo a Oristano, Olbia, Nuoro, Iglesias, o ad Alghero che già adesso ha la facoltà di architettura dell’Università di Sassari), che funzionano da poli di attrazione per il territorio circostante e che hanno le caratteristiche infrastrutturali adatte, dovrebbero ospitare alcuni dei dipartimenti universitari. Non parliamo di doppioni, per fare un esempio se a Oristano ci metti il dipartimento di Studi Umanistici, chi vorrà fare lettere si trasferirà a Oristano; se

a Nuoro ci metti Scienze della Formazione, chi vorrà farlo si trasferirà a Nuoro, e così via.

Siamo nel Terzo millennio e il discorso che andare a studiare a Cagliari è un passaggio fondamentale della vita di un giovane sardo, che gli permette di ampliare le proprie vedute e di iniziare a conoscere il mondo non sta più in piedi. L’Erasmus, la maggiore facilità nel muoversi, le nuove tecnologie sociali smontano completamente questo discorso. Una prospettiva come quella che abbiamo tratteggiato sopra probabilmente comporterebbe una rivitalizzazione, culturale ed economica, dei territori che oggi attraversano la crisi demografica. Culturale perché i progetti di ricerca che nascono nelle università potrebbero essere maggiormente centrati sulle esigenze del territorio rispetto a quanto lo siano adesso nelle sedi cagliaritane e sassaresi, ma anche perché la presenza di giovani studenti comporta sempre un arricchimento della vita culturale di un luogo; economica perché come  abbiamo visto l’indotto dei fuorisede nella sola Cagliari è enorme e la sua redistribuzione nell’intero territorio isolano non potrebbe che produrre vantaggi per le altre regioni sarde. Siamo sicuri che lo spopolamento e l’impoverimento non si possono combattere solo con misure di questo tipo, e non è neanche detto che siano effettivamente risolutrici, ma chiediamo in primo luogo alle associazioni e ai collettivi universitari di provare a ragionare sulla questione che stiamo ponendo e rispondere alla nostra proposta.