Riassunto dell’Assemblea Sarda sul Reddito Universale Incondizionato

Nella nottata di domenica si è tenuta quella che potrebbe essere la prima assemblea pubblica sarda sul tema del Reddito Universale Incondizionato. Svoltasi in formato digitale, a causa delle limitazioni imposte per l’emergenza sanitaria, ha visto una partecipazione costante di più di quindici persone per le quasi tre ore di dibattito. Per essere i primi passi in un terreno ancora poco esplorato, non si può non essere soddisfatti di questo risultato. Il dibattito è stato ampio, foriero di numerosi spunti, critiche, questioni irrisolte e domande. Di seguito cerchiamo di fornirne un riassunto.

Per quanto riguarda la definizione del modello di Reddito Universale Incondizionato, durante l’assemblea è stata proposta una definizione negativa, che segnasse le differenze dal modello rispetto al Reddito di Cittadinanza. I caratteri emersi sono i seguenti:

  1. Universalità. Il reddito è uno strumento a cui si ha diritto senza alcuna richiesta, compiuti i 18 anni. L’unico requisito è quello della residenza.
  2. Incondizionatezza. Non ci sono condizioni di sorta per ricevere il reddito, né legate all’accettazione di proposte di lavoro né all’adesione a programmi formativi.
  3. Individualità. Il reddito viene erogato agli individui, e non ai nuclei famigliari. Questo anche allo scopo di evitare le distorsioni generate dalla struttura patriarcale comune a molte famiglie.

L’introduzione, a cura degli organizzatori, ha posto sul piatto alcune questioni. Fondamentalmente, si è partiti da una sommaria analisi della situazione attuale. Uno sguardo preoccupato è stato rivolto alla probabile evoluzione del lavoro nei prossimi tempi, con l’ipotesi del probabile tramonto dell’obiettivo della piena occupazione, obiettivo comune a tutt i i progetti di riforma sociale che vedono il lavoro come strumento di emancipazione sociale. Il dibattito successivo ha poi messo in luce come è improbabile aspettarsi una fine del lavoro o un reale aumento della disoccupazione in forma sistemica. Si è fatto notare, piuttosto, come il capitale intensifichi e moltiplichi le forme di lavoro (stage, tirocini, contratti precari, etc.). In sostanza, il tramonto della piena occupazione non riguarderà tanto il livello quantitativo dei posti di lavoro disponibili, ma la loro qualità, sempre più frammentati in forme contrattuali variegate, e con una compressione sempre maggiore dei salari e delle garanzie contrattuali, anche di quelle relative alla condizioni di lavoro. Un altro intervento ha posto in luce come l’automazione rappresenti comunque, per molti settori, una rivoluzione ormai incipiente. Si pensi alla figura di cassiere nei negozi: è probabile che nel giro di un decennio siano sempre più numerosi i posti di lavoro persi per l’avvento delle casse automatiche. A fronte di profitti uguali, la diminuzione dei lavoratori comporta guadagni maggiori: intaccare questi profitti è uno dei possibili strumenti per finanziare il Reddito, ha fatto notare qualcuno nei suoi interventi. L’automazione, però, non è da vedere come il male assoluto. Anzi, è stato fatto notare, per quel che riguarda per esempio la sicurezza sul lavoro, essa sarà un obiettivo pienamente raggiunto solo quando i lavori faticosi e pericolosi saranno svolti dalle macchine. Resta però il fatto, che questo processo va accompagnato da un adeguato mutamento delle misure sociali.

L’altro elemento posto nell’introduzione è stato quello del problema sempre più grave costituito dalla crisi ambientale e climatica, che per molti lascia presupporre un imminente tracollo. L’argomento non è stato approfondito particolarmente nel dibattito, in un intervento è stato fatto notare come il reddito possa essere anche uno strumento di bilanciamento per la perdita di posti di lavoro derivante dalla riconversione ambientale. I posti di lavoro persi da una eventuale chiusura della Saras, a titolo di esempio, non sarebbero sostituiti dall’oggi al domani, come insegna la storia delle miniere.

Infine, oggetto di numerose attenzioni è stato il terzo elemento, l’incipiente crisi economica, con grande attenzione alla situazione sarda. Si è pensato alla situazione degli stagionali del turismo, con numerose considerazioni sulla dannosità di un certo tipo di impresa turistica, che in alcuni interventi è stato definito monocolturale. Non solo, si è messo in evidenza come sono numerose le categorie che rischiano di pagare a caro prezzo la crisi: a titolo di esempio, piccole partite IVA, piccoli imprenditori, lavoratori dell’economia informale, precari, stagisti e tirocinanti.

Questo per quel che riguarda le questioni poste nella prima parte dell’introduzione. Un altro interessante spunto di dibattito è stato quello relativo al rapporto tra reddito e autodeterminazione. Si è fatto notare, in più interventi, il legame che intercorre tra uno strumento di quel tipo e l’autodeterminazione di genere, contrastata invece dalle misure attualmente vigenti, come il reddito di cittadinanza, che basandosi sul reddito del nucleo famigliare vedono spesso la componente femminile in una situazione di subalternità. L’autodeterminazione individuale è un processo politico che si avvantaggerebbe del reddito. In un intervento è stato fatto notare che in Sardegna numerose persone vedono le proprie potenzialità imbrigliate dall’essere sottoposti al ricatto lavorativo. Spesso queste potenzialità riguardano progetti lavorativi e di vita che avrebbero ricadute sociali positive sulla comunità, cosa che invece non accade. L’indipendenza garantita dal reddito, darebbe una mano in questo senso. Inoltre, numerosi interventi hanno approfondito il legame che c’è tra stimolo dell’autodeterminazione individuale e aumento delle possibilità di autodeterminazione collettiva, per esempio nel caso del popolo sardo. Un altro aspetto, legato, è quello del fatto che la gestione di un reddito dovrebbe portare a una totale autonomia fiscale e impositiva da parte della Regione. Questo fatto, però, è bilanciato da considerazioni sul dilemma del “reddito in un solo paese”. Una relazione è stata ipotizzata anche per la questione della pastorizia, dato che il reddito potrebbe permettere, a certe condizioni, una maggiore indipendenza dei produttori da meccanismi di mercato impossibili da controllare in Sardegna, orientando verso una produzione ridotta, con minor concentrazione sul prodotto “pecorino romano”, ed effetti perciò positivi di risalita del prezzo del latte.

È stato fatto notare che, se si ipotizza di dare 500 euro al mese a 1 milione di residenti in Sardegna, questo comporterebbe una spesa di 6 miliardi di euro all’anno. Il Bilancio della Ras al momento è di 9 miliardi di euro ogni anno, la gran parte dei quali va in sanità. Sarebbe dunque insostenibile come proposta immediata. Inoltre, bisogna considerare il problema della fuga di capitali da un lato e dei possibili movimenti demografici che seguirebbero l’istituzione di un simile strumento in un solo paese. Importanti anche gli squilibri del mercato internazionale del lavoro. Di conseguenza, alcuni interventi hanno fatto notare come la prospettiva del reddito permetta di immaginare una forma diversa di federalismo europeo, rispettosa del diritto all’autodeterminazione delle comunità nazionali.

Il tema dei rapporti fra reddito e salario, e quindi anche del futuro del lavoro, è stato affrontato in vari interventi. Ciò che emerge è una complementarietà fra le due rivendicazioni: reddito universale da un lato e salario minimo dall’altro. In un intervento è stato fatto notare come già di per sé, in un’economia di mercato (non dimenticando che si tratta di un modello ideale, che non esiste davvero), il reddito universale è in grado di determinare un aumento dei salari nei lavori oggi considerati squalificati. Garantiti da una base di salvaguardia dalla povertà quale è il reddito, i lavoratori del settore agricolo o assistenza alla persona, si tratta di esempi tra i più visibili ma non gli unici, avrebbero infatti un maggior potere contrattualistico e potrebbero rifiutare salari bassi e condizioni lavorative di pessima qualità. La parte padronale, di conseguenza, dovrebbe o automatizzare quei lavori o adeguare i salari alla diminuzione dell’offerta di lavoro. In altri settori, oggi più qualificati, si potrebbe avere una sorta di effetto contrario, per cui sempre più persone sarebbero disposti a svolgerli a tempo parziale o a remunerazioni ridotte, consentendo da un lato la creazione di più posti di lavoro, dall’altro però provocando il rischio che la quota profitti della parte datoriale aumenti troppo. La complementarietà fra le due rivendicazioni, reddito e salario minimo, viene auspicata anche perché, si fa notare in un intervento, il capitalismo è in continua evoluzione. Oggi, non si può più credere che l’estrazione del profitto avvenga solo con la valorizzazione del lavoro, che resta sempre un rapporto sociale. L’elaborazione e la commercializzazione dei dati sono solo una parte di un meccanismo ancora più grande, che mostra le nuove frontiere del capitale. Questo determina un ruolo produttivo implicito delle persone, il che ha portato alla considerazione che il Reddito non sarebbe un sussidio di povertà, ma una vera e propria remunerazione del valore prodotto anche al di fuori dei tradizionali meccanismi di lavoro. Resta comunque il fatto che il capitalismo odierno è un sistema complesso, entro il quale convivono diverse forme di estrazione di valore. Questo dato obbliga a una strategia politica integrata, non è possibile immaginare il reddito come una panacea. È necessario che vi si affianchi una adeguata politica per il mantenimento di un livello salariale minimo, che sarebbe anche in grado di riqualificare lavori importanti, oggi squalificati proprio per il basso salario e per le pessime condizioni lavorative. D’altra parte, il reddito, potrebbe essere in grado di liberare tempo e risorse per lo svolgimento di lavoro volontario, non al servizio dei profitti di qualcuno, ma per rispondere a esigenze sociali e comunitarie.

Sempre in relazione alla Sardegna, un intervento ha posto il focus su un tema centrale. Non si può immaginare il reddito universale come sostituto di una base produttiva debole, frutto di indirizzi politici e industriali eterodiretti e di una condizione di subalternità dell’isola. È necessario anche elaborare una strategia di sviluppo in questo senso. In questa introduzione ci permettiamo di aggiungere un elemento non emerso dal dibattito, la Sardegna ha già conosciuto una fase di elaborazione collettiva e dal basso della propria strategia di sviluppo. Fu negli anni Cinquanta, agli esordi della battaglia per l’applicazione delle norme dello Statuto che poi scaturirono nei due piani di rinascita. Quelle misure legislative adottate dal Parlamento Italiano storpiarono le rivendicazioni delle classi lavoratrici sarde, adattandole a interessi esterni i cui limiti sono emersi con chiarezza nel corso degli anni.

Infine, è stato posto in un intervento il problema di che approccio si vuole avere alla questione: un suo utilizzo in senso riformista del capitalismo, come strumento che agevoli la governamentabilità non è necessariamente auspicabile. D’altra parte, è stato fatto notare, un movimento politico non deve “sostituirsi” allo Stato, occupando troppo tempo per risolvere le contraddizioni tra una proposta di rottura e il sistema politico-economico nel quale verrebbe attuata, stanti le medesime condizioni. Piuttosto, si è detto, sarebbe opportuno immaginare come sviluppare la proposta proprio nei luoghi in cui emergono le criticità del sistema, acuite dalla crisi pandemica. Non una proposta calata dall’alto da un gruppo di studio, dunque, ma una riflessione su quali soggetti si intende aggregare e un’elaborazione collettiva nelle lotte della rivendicazione di un reddito.

Conclusioni

Il dibattito teorico si conclude lasciando aperte molte questione e con spunti che non si è potuto approfondire. Da questo riassunto restano fuori, per esempio, questioni tecniche legate alla sostenibilità del Reddito Universale Incondizionato, ai modelli a cui far riferimento, ai possibili effetti distorsivi sui meccanismi economici (vedi il rischio di una spirale di inflazione, che potrebbe essere bilanciato però dagli effetti positivi del reddito, cosicché l’aumento del circolante corrisponderebbe a un aumento della ricchezza materiale, evitando significativi aumenti reali dei prezzi). Alcune questioni, che non possiamo considerare deliberazioni esplicite dell’assemblea ma hanno comunque assunto il valore di un impegno al prosieguo del lavoro, sono comunque emerse.

  1. Creazione di un gruppo Telegram pubblico di confronto sul tema, da impiegare come cassetta degli attrezzi tramite condivisione di contributi esterni e riflessioni proprie.
  2. Analisi sulle misure economiche portate avanti da Stato e Regione per far fronte all’incipiente crisi economica, con particolare attenzione al bonus da 800 euro della Regione Sardegna e al reddito di quarantena ipotizzato, e di prossima pubblicazione probabilmente, dal governo.
  3. Elaborazione di riflessioni, tendenti alla costruzione di una proposta concreta, in merito alle situazioni di emergenza che si verranno a determinare nei prossimi mesi in Sardegna.