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Reddito emergenza, occasione sprecata

Sarebbe opportuno chiamare le cose con il loro nome. Il Reddito di Emergenza, Rem per gli amici musicofili o insonni, non può infatti essere definito Reddito. La misura adottata dal governo italiano nel suo ultimo decreto, quello da 55 miliardi di euro chiamato Rilancio Italia, ha infatti le caratteristiche tipiche di un sussidio di povertà. Resta il carattere dell’emergenzialità, dato che durerà solo due mesi. Fondamentalmente, un doppione del Reddito di Cittadinanza, anche quello in realtà un sussidio di povertà. Ma andiamo con ordine.

Intanto, resta il problema dell’erogazione al nucleo famigliare e non all’individuo. Così, se sulla stampa si ipotizza un bacino di utenti di 3 milioni di persone, va precisato che quel numero va diviso almeno per due. Infatti, il sussidio – compreso tra i 400 e gli 800 euro – andrà spartito fra i componenti del nucleo. Un elemento problematico, che poco appare nel dibattito pubblico, resta dunque irrisolto. Considerando la struttura patriarcale comune a molti nuclei famigliari, è evidente la condizione di subalternità della loro componente femminile nell’usufruire del Rem. Sembra quasi di tornare ai tempi della prima rivoluzione industriale, durati in contesti rurali in realtà fino alle porte della contemporaneità, quando intere famiglie prestavano la propria manodopera ai padroni e poi il capofamiglia riceveva il misero salario quotidiano.

C’è l’elemento dell’incondizionatezza, vero, dato che per fortuna sono stati sventati gli assurdi tentativi del Partito Democratico di legare la misura (insieme al Reddito di cittadinanza) all’obbligo di prestare il proprio lavoro nelle campagne. Si tratta, in realtà, di un elemento relativo, perché lo strumento resta condizionato alla durata dell’emergenza da Covid-19. Peraltro, l’aspetto dell’emergenzialità è abbastanza debole: un reale sussidio per far fronte alla crisi avrebbe dovuto prevedere il cumulo con le misure standard, fra le quali anche il Reddito di cittadinanza. Invece, non è così. Chi percepisce l’Rdc, anche se magari per appena 150 euro, non avrà diritto al Rem, stesso discorso per tutti gli altri sussidi.

Fondamentalmente, dunque si tratta di un sussidio minimo di povertà, che va inquadrato in una manovra che non sembra avere alcuna ambizione di adeguare il sistema economico alle nuove esigenze. L’impianto generale, confermato da letture ben più autorevoli della presente, è quello di una maxi-manovra finanziaria che punta a garantire i profitti dell’impresa privata, a scapito delle misure a sostegno degli individui, che siano lavoratori o no. Come valutare sennò il taglio della prima rata IRAP per il 2020, che andrà a vantaggio di tutte le imprese sotto i 250 milioni di fatturato annuo? In Sardegna, tolte la Saras la Sarlux e poche altre società, l’intero sistema imprenditoriale beneficerà di questo sconto. Mi permetto di trovare assurdo che i gruppi isolani della Grande Distribuzione Organizata e della produzione alimentare, che in molti casi hanno visto aumentare i propri profitti in questi due mesi, possano accedere a questo sconto. Che, peraltro, riguarda un’imposta che finanzia le casse regionali, quelle che dovrebbero far fronte al piano sanitario dell’emergenza. Non mi stupisco della soddisfazione espressa dal presidente della Confindustria sarda, resta il fatto che i primi a pagare a caro prezzo questo sconto fiscale generalizzato saranno quelle imprese che ne avrebbero realmente necessità.

Ma torniamo al Rem, che forse sarebbe più opportuno chiamare Sussidio di galleggiamento. 800 euro per un nucleo famigliare di 4 persone, servono infatti a pagare bollette, mutui e a mettere il cibo in tavola. Nulla di più, tanto che viene il dubbio che il vero scopo di questa misura (per quel che riguarda il Reddito di cittadinanza lo sappiamo già con certezza) sia quello di non far crepare qualche milione di persone, tenerle sul filo della disperazione in maniera tale che siano disposte ad accettare qualsiasi contratto di lavoro a momento debito.

In Sardegna, per chiudere, sembra che il bacino dei percettori sia abbastanza ridotto. Se è confermata l’impossibilità di cumulo con altri sussidi, è evidente che tutti coloro che hanno avuto accesso al bonus di 800 euro regionale resterebbero tagliati fuori. Misura imperfetta, anche quella adottata da Solinas a inizio marzo, come conferma il pasticcio cagliaritano: 1000 percettori del bonus sono stati contattati dalla banca che ha effettuato i versamenti per conto del Comune. Gli è stato segnalato che sarebbe necessario restituire il contributo, perché ci sarebbero da fare verifiche ulteriori sui requisiti. Inutile dire che molti avevano già speso buona parte delle somme. Un pasticcio scandaloso, da dimissioni per l’amministrazione comunale cagliaritana. 

dp

Tenta il suicidio dopo 90 giorni di reclusione nel lager di Macomer

Il disumano è in mezzo a noi. Il disumano siamo noi. Cos’altro dovremmo pensare, leggendo la notizia rivelata da Sardiniapost, del tentato suicidio avvenuto ieri nel campo di concentramento di Macomer?

La cronaca. Tre mesi fa l’hanno prelevato per strada, senza aver mai commesso un reato: l’unica sua “colpa” è il colore della pelle. Sbattuto nel CPR di Macomer, costruito sì per volontà di Salvini ma con la complicità di tutta la politica sarda, a partire da quella di chi a Macomer governa con un controllo politico del territorio senza precedenti nella Sardegna della seconda repubblica, il Partito dei Sardi. Il 28enne conduceva a Porto Pozzo (Santa Teresa di Gallura) una vita normale, lavorava ed era ospite di una famiglia sarda che l’aveva accolto fin da quando era uscito dal Centro di Accoglienza Stroardinaria locale. Ma un giorno qualche solerte agente ha deciso che lui non aveva il diritto di vivere libero. E così, 13 giorni dopo l’apertura di quel lager di stato, è stato sbattuto dentro. In un luogo ancora più disumano di un carcere, perché chi ci finisce dentro è un fantasma, non ha alcun diritto, se non quello estremo di cercare di liberarsi attraverso la morte. Il giudice di pace di Macomer aveva già confermato due volte il trattenimento presso il CPR. Nell’ultima udienza, scrivono su Facebook gli attivisti dell’assemblea No CPR Macomer, la famiglia che l’aveva ospitato aveva presentato un contratto di locazione e un contratto di assunzione come operaio generico e una petizione di cittadini galluresi per la liberazione del ragazzo. Niente da fare, il giudice di pace ha prorogato il trattenimento per altri trenta giorni e il giovane ha deciso di tentare l’ultima carta a sua disposizione per fuggire da quella disumanità: uccidersi. Si è buttato dal muro di cinta, è stato trasportato con l’elisoccorso a Sassari e, dopo i trattamenti medici, è stato di nuovo recluso dentro il lager del Marghine. Dovrà passare lì dentro in totale 117 giorni da quando è stato arrestato senza motivo e poi sperare che il giudice non rinnovi ulteriormente il provvedimento. Continua la lettura di Tenta il suicidio dopo 90 giorni di reclusione nel lager di Macomer

Amazon pigliatutto, ora vuole Deliveroo

La prima a dare la notizia è Sarah Butler sul Guardian, qua – per il momento – se ne parla solo in pochi siti specializzati e, ovviamente, fra i lavoratori del settore. Amazon mette a segno un investimento di centinaia di milioni di dollari in una delle sorelle del food delivering e l’impressione generale è che nei piani del colosso capitalista di Seattle ci sia l’ingresso, il cui impatto sarebbe devastante, nel settore delle consegne alimentari, uno dei più vivi dell’economia dello sfruttamento contemporanea, la cosiddetta Gig Economy.

A quanto ammonti precisamente l’investimento di Amazon, non è dato saperlo: sappiamo che si tratta della quota più consistente di un piano da 450 milioni di dollari, proposto nel 2019 e bloccato dall’autorità antitrust britannica per il rischio di forti limitazioni alla concorrenza del settore. L’inchiesta della Competition and Markets Authorities era in alto mare, ma nelle ultime settimane è arrivato dagli amministratori di Deliveroo un grido d’allarme che ha spinto i watchdogs britannici ad accelerare i tempi.

“Senza ulteriori investimenti, che al momento sono ipotizzabili solo da parte di Amazon, è chiaro che Deliveroo non sarebbe in grado di raggiungere i suoi obiettivi finanziari e dovrebbe uscire dal mercato”. Sulla base di queste considerazioni, la CMA ha deciso di dare il via libera provvisorio all’investimento di Amazon. La decisione definitiva si attende per giugno.

Il guaio di Deliveroo sembra essere legato al fatto che in Inghilterra anche le grandi catene come Burger King o KFC hanno interrotto negli ultimi due mesi la produzione di cibo per consegne. La liquidità scarseggia, insomma, e l’azienda ha un disperato bisogno del sostegno di Amazon. Sostegno che, però, può trasformarsi in un abbraccio mortale, considerando le tendenze monopolistiche del colosso guidato da Jeff Bezos.

Il grande capitale subirà una grossa fase di riorganizzazione interna nei prossimi tempi. Facile prevedere chi ne pagherà le conseguenze: noi.

dp

Terapie intensive: nell’isola 24 posti letto in più dall’inizio della crisi

Ma dove vogliono andare? Potremmo domandarcelo con ironico distacco, pensando alla strategia Solinas per l’avvio della Fase 2 in Sardegna. Il guaio, però, è che dove vanno loro andiamo anche noi. Già, perché Solinas è il capitano di questo malandato Titanic, che punta a ripartire dopo un’avaria senza porsi la domanda fatidica: “Incontreremo degli iceberg, sul nostro cammino?”.

Ne dà notizia oggi l’Unione Sarda, ma la fonte originaria è il Corriere della Sera: in Sardegna, ad oggi, ci sono 158 posti letto in Terapia Intensiva.All’inizio dell’emergenza, in condizioni ordinarie dunque, ce n’erano 134 e l’aumento perciò ammonta a 24 letti in più. Nieddu non accetta questi numeri, scrive Massimo Ledda sul quotidiano cagliaritano: «Noi siamo stati fra i primi in Italia a organizzare un piano modulare per fasi che ci consente di attivare i posti in terapia intesiva mano a mano che ci servono e si creano delle necessità. Attualmente abiamo 17 pazienti in terapia intensiva e 141 posti liberi, che senso avrebbe attivarne agli altri?».

Sembrerebbe quasi ragionevole, a un primo sguardo, non fosse che questo piano modulare ha già dimostrato di non essere così efficiente. A Oristano, ci sono volute varie settimane per attivare il reparto Covid del San Martino. Troppe, tanto che il giorno che sei pazienti con difficoltà respiratorie si sono presentati al Pronto Soccorso il sistema è andato in tilt. Se ci fosse stato un reale boom di contagi, il tracollo sarebbe stato immediato. E tragico.

D’altra parte, anche il discorso sui posti liberi “inutili” di Nieddu sembra reggere poco. Forse i tedeschi si ammalano più degli italiani o dei sardi? Improbabile che le differenze siano significative. Eppure hanno molti più posti letto in terapia intensiva. È lecito immaginare che quei lettini restino vuoti la maggior parte del tempo, eppure… eppure quel surplus è al momento la sola spiegazione razionale disponibile del basso tasso di mortalità tedesco in relazione all’epidemia.

Ma la parola d’ordine, ora, è riaprire tutto. Uno slogan vuoto, in realtà, tanto varrebbe gridare “Perché io valgo!”. La situazione economica, e umana, delle persone comuni è già tragica, questo è innegabile. Ma se non vogliamo che a tragedia si aggiunga tragedia, allora bisogna assumere un punto di vista più complesso. Qui, in Sardegna, non siamo in una situazione di epidemia o di pandemia e non lo siamo mai stati. Questo vuol dire che la Fase 2, e la Fase 3 e la 4 fino alla Fase n, deve essere gestita evitando che accada ciò che non è accaduto finora. Il primo problema è quello dell’allocazione delle risorse pubbliche: per la sanità sarda si spende tanto, nonostante i tagli, è evidente allora che il problema sta nel come si impiegano i soldi. Finanziamenti ai privati, spese clientelari, mascherine acquistate a prezzi speculativi… chi più ne ha più ne metta. Potenziare le terapie intensiva, ovviamente, comporterebbe un aggravio nel bilancio regionale. Ma se questo serve a raggiungere l’obiettivo della sicurezza sanitaria di chi abita nell’isola non vediamo quale sia il problema. Le risorse si prendano altrove. Pensiamo solo a quanti milioni di euro sono stati buttati nel corso degli anni dalla RAS per finanziare quei programmi di sfruttamento legalizzato che vanno sotto il nome di tirocini! Poca roba rispetto alle esigenze? Forse è vero, ma è solo uno dei capitoli di bilancio nei quali si può pescare.

In conclusione, ci vuole buon senso e fiducia nei cittadini. Molte limitazioni possono essere allentate, ma è necessario che il sistema sanitario sia pronto. Non basterà comunque, una cosa è chiara: se il sistema economico-produttivo resta quello che abbiamo conosciuto fino ad oggi, l’eventuale ripresa non riguarderà la popolazione isolana nel suo complesso, ma vedrà crescere sempre di più le ineguaglianze.

Foto: una stanza di terapia intensiva, di Norbert Kaiser – Fotografia autoprodotta, CC BY-SA 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1955393

ASSALTO ALLE SPIAGGE

La crisi del settore turistico, probabilmente, sarà una delle più devastanti nell’isola. Non durerà in eterno, questo no. Gli operatori sardi lo sanno, avendo vissuto in prima persona prima l’incremento dei flussi turistici a causa delle tensioni politiche in Nord Africa. Incremento che non fu strutturale, durò il tempo che la situazione politica della riva mediterranea meridionale tornasse a un livello accettabile per il turismo.

Insomma, nessuno vuole negare l’esistenza di una crisi incipiente e potenzialmente disastrosa. Resta, però, da capire il nesso fra questa situazione e la richiesta, arrivata da un nutrito gruppo di imprenditori balneari, di prorogare le concessioni demaniali per gli stabilimenti fino al 2033.

Se, mettiamo il caso, le concessioni fossero scadute fra 5 anni, la posizione degli imprenditori balneari avrebbe potuto avere un po’ di ragionevolezza in più. Sarebbe stato comprensibile, non necessariamente condivisibile, che qualcuno ci dicesse: “Quest’anno perderemo e basta, l’anno prossimo chissà come andrà. Se non abbiamo abbastanza tempo per riassorbire le perdite, tanto vale chiudere subito”. Il problema è che, però, le concessioni sono già scadute: nel 2018. Al momento peraltro ci troviamo in regime di proroga fino al 2033, con il serio rischio – qualcuno lo considera una certezza – che fra qualche anno arrivi allo stato italiano una multa milionaria, siglata dalle istituzioni europee.

Un bene demaniale viene destinato al profitto privato senza alcuna gara. Non solo, i ricavi delle concessioni demaniali marittime a fini turistici, secondo l’osservatorio di Cottarelli, ammontano ad appena circa 100 milioni di euro all’anno. Abbastanza evidente la discrepanza con i profitti, in tempi ordinari, degli operatori del settore.

Il rischio, che è legittimo temere, è che nei prossimi anni si decida in Sardegna di ristorare le perdite subite a cuasa del Coronavirus dagli operatori non solo con la proroga (illegittima) delle concessioni, ma anche con l’ampliamento delle aree destinate a stabilimenti.

Incuranti di come questa crisi stia dimostrando che la monocoltura del turismo, in Sardegna, è una prospettiva molto pericolosa.