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Solinas e il modello Corea, distrazione di massa?

Qualcuno, ormai, la vede come una panacea. La app per il tracciamento dei contagi sembra quasi aver preso il posto del vaccino nel dibattito pubblico. In realtà, partendo da un approccio ragionato, le cose non stanno proprio così, e un riferimento importante può essere questo interessante, documento prodotto dall’Osservamedia di ASCE.

Concentrandosi sugli aspetti politici più superficiali, sembra evidente una profonda diversità di vedute fra le soluzioni ipotizzate a Roma, che puntano a valere in tutto il territorio controllato dallo stato italiano, e quelle prospettate da Christian Solinas ieri a La Nuova Sardegna. Continua la lettura di Solinas e il modello Corea, distrazione di massa?

PROTESTA PASTORI: IL PUNTO DELLA SITUAZIONE

Gli studenti di Cagliari manifestano solidarietà ai pastori

Facciamo un po’ di chiarezza su quelle che possono essere le soluzioni immediate alla crisi della pastorizia in Sardegna. Il tavolo regionale di ieri ha segnato la strada che probabilmente verrà seguita anche oggi a Roma, nel tavolo elettorale convocato da Matteo Salvini e Coldiretti.

L’idea che sta prendendo forma è questa: Regione e Stato si devono far carico dell’acquisto di una cifra che oscilla tra i 30 e i 50 mila quintali di pecorino romano con una spesa, abbastanza ingente, che, secondo quello che si legge nei commenti della stampa e dei siti specializzati oscilla tra i 30 e i 40 milioni di euro. Le forme così acquistate, dovrebbero essere ritirate dal mercato, o destinandole alla stagionatura o assegnandole (tramite bando, si immagina) a Onlus e servizi per gli indigenti. Non è detto che il mercato recepisca favorevolmente questa mossa, il prezzo del romano potrebbe salire ma non ai livelli necessari ad arrivare alla quota richiesta dai pastori per il pagamento del latte: 1 euro più IVA al litro.

Ieri Pigliaru, al termine del tavolo regionale, ha parlato di uno stanziamento di 10 milioni di euro da parte della RAS e ha auspicato che da Roma oggi arrivassero altri 20 milioni. Che il tavolo si chiuda con questo accordo non è impossibile, ma il punto è che i caseifici dovrebbero accettare su questi presupposti di pagare il latte a un euro e questo non è un meccanismo automatico.

Che si tratti di una soluzione emergenziale (e non necessariamente destinata al successo) è evidente e comunque non è detto che vada in porto. La sicumera di Salvini lascia pensare che abbia già la certezza di trovare un accordo che possa essere quantomeno spacciato per buono, ma c’è un altro problema: il tavolo di oggi potrebbe avere una rappresentatività molto limitata del mondo dei pastori, considerando che vi prenderà parte solo Coldiretti, le cui mosse filo-salviniane degli ultimi giorni hanno destato un po’ di irritazione fra i pastori in mobilitazione. Si allarga intanto la spaccatura all’interno del movimento dei pastori, con la Coldiretti che sta giocando tutte le sue carte sulla soluzione Salvini e il Movimento Pastori Sardi che ieri, contestato da una parte dei pastori in mobilitazione, ha deciso di non partecipare al tavolo regionale. Nei fatti però sembrerebbe che l’assenza dell’MPS abbia comportato una partecipazione molto debole degli allevatori al tavolo, tanto che all’uscita in tarda serata dal palazzo della Giunta regionale le recriminazioni dei manifestanti si sono rivolte proprio ai delegati che non erano riusciti a strappare un prezzo più alto di 65 centesimi al litro.

Se anche dovesse arrivare una soluzione accettabile di emergenza, sul piano strutturale non saranno i tavoli di questi giorni a fornire dei risultati concreti e ci sono alte probabilità che la situazione precipiti nuovamente nel giro di qualche mese.

Mentre stamattina gli studenti hanno continuato a mobilitarsi in varie parti dell’isola, con un nuovo corteo selvaggio per le strade di Cagliari, si apprende che numerosi gruppi di pastori si dirigeranno questo pomeriggio al presidio che sta bloccando da giorni il conferimento del latte al caseificio dei fratelli Pinna di Thiesi, uno degli attori più importanti del settore della trasformazione del pecorino romano, ben proiettato sul mercato statunitense, quello cioè nel quale si sono verificate le speculazioni che hanno provocato il crollo del prezzo del latte ai livelli attuali. Lì si attenderanno i risultati del tavolo romano, che probabilmente finirà in tarda serata anche nella speranza di far scemare i pastori mobilitati in caso di un accordo non particolarmente positivo. Salvini sta già mandando i primi segnali sul fatto che le questure sarde – che sembrano aver ricevuto, fino ad oggi, l’ordine di lasciar fare i pastori – dovranno cambiare atteggiamento nei prossimi giorni per quanto riguarda la gestione dei blocchi stradali. Insomma, sembra che da Roma oggi arriverà questo messaggio: “Questo è l’accordo, prendere o lasciare. Chi continua a protestare ne pagherà le conseguenze”.

Questa è la situazione, difficile fare previsioni più dettagliate e anche queste potrebbero essere smentite dall’evolversi degli eventi.

 

CI SERVE UN NUOVO STATUTO! PROPOSTA PER UN’ASSEMBLEA COSTITUENTE DEI SARDI

Nessuna pretesa che questa proposta venga presa in considerazione immediatamente, dato che in molti sono impegnati nelle elezioni. Nessuna pretesa nemmeno che venga accettata senza critiche, che anzi sono ben accette, perché ciò che serve è un dibattito e non basta dire genericamente che bisogna rifare lo statuto, bisogna anche capire con quali modalità. L’unica cosa che conta è parlarne, perché oltre alla sua cronica debolezza, l’autonomia sarda  ha un nuovo problema all’orizzonte: l’autonomia delle regioni del Nord in salsa leghista. E i tempi rischiano di essere stretti.

Durante la campagna elettorale per le Regionali 2019 sentiremo tante belle proposte per risollevare la Sardegna e, per carità, molte di esse avranno un effettivo valore: piccoli o grandi interventi in grado di curare gli aspetti più critici della nostra isola malata. Probabilmente non mancheranno interventi relativi a una delle cause principali della nostra condizione, ossia l’inadeguatezza dello Statuto autonomistico, ma, considerando che non ci sono serie possibilità – grazie a una legge elettorale antidemocratica – di avere un Consiglio Regionale adatto a intervenire su questa materia, si corre il rischio che tali interventi restino confinati all’ambito dei buoni propositi.

Parte consistente e rispettabile della storiografia isolana non ha dubbi nel dipingere la scrittura dello Statuto come un momento fallimentare della storia politica sarda, ai limiti del masochismo. L’errore principale sta alla base: l’Autonomia fu considerata il risarcimento per le morti sarde nella Grande Guerra, non una inevitabile necessità dovuta all’esistenza di innegabili differenze nella storia istituzionale e sociale di Sardegna e Italia, al fatto, insomma, che i sardi fossero un popolo diverso da quello italiano (sempre che ne esista uno). L’altro limite, anche questo fondante, è che lo Statuto, così come è concepito, lega indissolubilmente la crescita economica e morale della Sardegna all’intervento italiano, anzi la subordina all’aiuto continentale. Per carità, la ratio dell’articolo 13 Lo Stato col concorso della Regione dispone un piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell’Isola») è anche comprensibile: una legge di rango costituzionale obbligava l’Italia a spendere soldi per risollevare un’isola in condizioni di assoluto declino. Tuttavia è chiaro come – formulato in questi termini, con la Regione che diventa poco più che un aiutante, con un ruolo fortemente limitato nella creazione di questo piano – il risultato sia stato quello di aver sancito nella nostra “costituzione” la sudditanza della Sardegna nei confronti dell’Italia. I risultati dei due piani di rinascita sono lì a dimostrare questo.

A settant’anni di distanza, soprattutto se consideriamo che viviamo in un’epoca in cui è egemone l’ideologia del fare e della supremazia della tecnica sulla riflessione, possono sembrare questioni di lana caprina: meglio intervenire sui trasporti, sull’insularità (qualsiasi cosa voglia dire), etc… In realtà credo non esista una scala di valori: sia gli interventi palliativi – perché di questo si tratta, dal momento che non attaccano la base del problema, ossia la condizione di subordinazione coloniale della Sardegna nei confronti dell’Italia – che quelli che attaccano il problema in sé hanno la loro importanza. Tuttavia non si può negare che l’intervento sullo Statuto, in primo luogo sui principi fondamentali e poi sugli aspetti di carattere tecnico-giuridico, sia una necessità immediata, da perseguire contemporaneamente alle proposte di soluzione dei problemi concreti di quest’isola.

Però c’è un problema, la legge elettorale è talmente antidemocratica, che il Consiglio Regionale che verrà fuori da queste regionali non avrà la benché minima rappresentatività (né l’autorevolezza, figuriamoci!) per riscrivere lo Statuto autonomistico. Qualcuno potrebbe dire: «Abbiamo aspettato 70 anni, aspettiamone altri cinque!». Io non credo sia possibile attendere. In primo luogo non c’è alcun indizio, ora come ora, che lasci credere che alle regionali 2024 le cose debbano andare diversamente da come andranno stavolta. Questa però non è la ragione forte, il vero problema è che la crescita leghista porterà verosimilmente a una riscrittura, in tempi brevi, dell’assetto istituzionale della Repubblica Italiana, con un allargamento dell’autonomia delle regioni a statuto ordinario, magari fino al punto di creare un sistema federale nel quale tutte le regioni sono sullo stesso piano. Al di là delle sirene leghiste (vedi la recente intervista del governatore veneto Luca Zaia sul fare fronte comune con la Sardegna), dovrebbe essere chiaro a tutti che questo scenario è, per la Sardegna, una follia, un massacro. La nostra già debole autonomia, debole per colpa della classe politica sarda del Dopoguerra, diluita in un sistema in cui tutto è sullo stesso piano, non conterebbe più nulla.

Arrivo dunque alla proposta. Considerando che il futuro Consiglio Regionale non avrà né la rappresentatività né l’autorevolezza sufficienti ad affrontare un’opera storica come la riscrittura dello Statuto; considerando inoltre che, visto quel che guadagnano, sarebbe meglio che i consiglieri regionali lavorassero per risolvere i problemi immediati dell’isola; considerando infine che gli scenari relativi al futuro assetto costituzionale della Repubblica Italiana impongono un intervento rapido e deciso del popolo sardo per riscrivere su basi solide e adeguate ai tempi la propria autonomia dall’Italia, prevedendo il proprio diritto ad autodeterminarsi nei modi e nei tempi più opportuni secondo la sua insindacabile volontà; si propone di avviare un percorso finalizzato all’elezione di una Assemblea Costituente, formata su base proporzionale e rispettosa degli interessi territoriali delle varie parti dell’isola, che abbia, come unico compito, quello di redarre il nuovo Statuto autonomistico della Sardegna, da sottoporre poi a referendum confermativo dopo un congruo periodo di riflessione nazionale.

Lasciamo trascorrere le elezioni, ma poi occupiamocene e lavoriamo sul tema Statuto, perché il tempo stringe davvero.

dp