SARDEGNA – OKINAWA: NELL’ISOLA GIAPPONESE SI LOTTA CONTRO LE BASI (E SI RISCHIA DI VINCERE LE ELEZIONI)

In Giappone, se sei contro le basi militari americane e fai di questa battaglia il punto cardine della tua campagna elettorale, rischi di diventare governatore.  Ce lo dimostra la storia di Denny Tamaki, candidato governatore della prefettura di Okinawa alle elezioni che si terranno domenica 30 settembre.

Immagine tratta da: https://libguides.gwu.edu/okinawa/militarybases/maps

Tamaki, 59 anni, è figlio di un marine americano – che non ha mai conosciuto – e di una cameriera giapponese. È di Okinawa, isola giapponese grande circa un decimo della Sardegna, ma con quasi lo stesso numero di abitanti. Con la Sardegna condivide alcune cose: intanto sardi e abitanti di Okinawa sono fra le popolazioni più longeve al mondo, inoltre entrambe le isole svolgono il ruolo di piattaforma militare per lo stato di cui fanno parte. Come si vede dalla cartina però, la situazione di Okinawa è quasi incredibile: sembra che sia lo spazio riservato ai civili ad essere residuale. Stando a Wikipedia, Okinawa e le sue isole minori, pur costituendo appena lo 0,6% della superficie totale del Giappone ospitano il 75% delle installazioni militari presenti nel paese del Sol Levante. Le somiglianze peraltro non si esauriscono qui, Okinawa infatti è l’isola principale dell’arcipelago Ryūkyū che si costituì in regno autonomo nel XV secolo, e dopo aver oscillato tra l’influenza cinese e quella giapponese per secoli, venne definitivamente annesso al Giappone imperiale solo nel 1879, in una coincidenza cronologica straordinaria con la Sardegna.  Le isole Ryūkyū rimasero sotto la sovranità americana dalla fine della guerra fino al 1972, data in cui vennero restituite al Giappone. Tuttavia a partire dal 1945 si era sviluppato un movimento indipendentista, più o meno con in Sardegna, che però non ebbe troppo successo perché la maggior parte degli abitanti di Okinawa vedeva il ritorno all’amministrazione giapponese come uno strumento per liberarsi dell’opprimente presenza statunitense. L’indipendentismo delle isole Ryūkyū però ha di nuovo avuto momenti di nuova forza a partire dagli anni Novanta, quando la popolazione locale ha iniziato a mobilitarsi per i numerosi casi di violenza sessuale addebitabili a militari statunitensi. Nel settembre 1995 85 mila persone scesero in piazza per protestare contro un caso di stupro e il messaggio antiamericano e antimilitarista si saldò con quello antigiapponese. Nel 2007 110 mila persone protestarono contro un progetto di revisione dei libri scolastici, prodotto dal ministero dell’istruzione giapponese, che edulcorava l’ordine dato dal comando militare nipponico per il suicidio di massa della popolazione civile durante la Battaglia di Okinawa – uno dei principali scontri della Seconda Guerra Mondiale nel Pacifico. Una delle date simbolo è, casualmente, il 28 aprile, giorno in cui venne firmato il trattato di San Francisco che restituiva Okinawa al Giappone. Il governo di Tokyo ha istituito un giorno di festa nazionale, ma per molti abitanti di Okinawa quello rimane il giorno dell’umiliazione nazionale. Più di recente, nel 2016, 65 mila persone sono scese in piazza per protestare contro l’ennesimo stupro e assassinio di una donna di Okinawa da parte di militari statunitensi. Questo breve, e sicuramente impreciso, resoconto pone un problema molto interessante su come la tensione politica nelle isole Ryūkyū veda accavallarsi diverse lotte: quella per l’autodeterminazione nazionale, quella antimilitarista e quella contro il patriarcato. Una lezione che, studiata bene, potrebbe rivelarsi molto interessante per i movimenti di questo tipo che operano in Sardegna.

Una manifestazione antimilitarista a Okinawa

La situazione di Okinawa è dunque abbastanza chiara e molto simile a quella della Sardegna. Accademici, giornalisti e politici ritengono che l’isola si trovi in una condizione di colonia interna al Giappone e in molti credono che l’occupazione americana sia un elemento che rende questa situazione ancora più ineluttabile. Tornando al nostro Denny Tamaki, bisogna dire che non si tratta di un fulmine a ciel sereno. Il precedente governatore dell’isola infatti, Takeshi Onaga, vinse le elezioni del 2014 proprio concentrando la sua campagna sull’opposizione a una nuova installazione militare americana che vedeva favorevole il governo regionale di allora. Onaga è morto di cancro al pancreas il mese scorso, e ora gli abitanti delle isole Ryūkyū sono stati richiamati ai seggi e Tamaki punta a raccogliere l’eredità del suo predecessore. Su di lui pende, peraltro, lo stigma dell’essere per metà giapponese e per metà statunitense. Tamaki è stato il primo asiamericano a essere eletto nel parlamento di Tokyo e bisogna riconoscere che in Giappone non è facile appartenere a un’altra etnia, diversa da quella egemone nell’arcipelago.

A sinistra Tamaki, a destra il suo avversario, il conservatore Atsushi Sakima

Le elezioni non si annunciano facili, anche perché domenica è previsto l’arrivo di un tifone nell’isola che potrebbe complicare assai le operazioni di voto. Inoltre pare che la morte di Onaga abbia creato abbastanza scompiglio nello schieramento della sinistra, dal momento che era assai probabile una sua ricandidatura e una sua vittoria. Alla fine il testimone lo ha raccolto Tamaki. non riusciamo a trovare sondaggi sul web, ma il New York Times assicura che Tamaki e il candidato del Partito Liberal Democratico (partito di destra che da anni è al governo a Tokyo) sono spalla a spalla.

Sicuramente ci sono tantissime differenze fra la situazione di Okinawa e quella sarda, ma crediamo sia molto interessante lanciare questo spunto di riflessione e far conoscere una vicenda che dimostra come la questione dell’occupazione militare possa essere un elemento fondamentale di mobilitazione per un popolo in condizione di subalternità e di sfruttamento coloniale.

Davide Pinna

Il 2 Ottobre inizia il processo a Furia Rossa

Martedì 2 ottobre saremo impegnati al Tribunale di Oristano. Tre nostri militanti sono stati prima indagati e poi rinviati a giudizio per diffamazione, con varie aggravanti. Il fatto a cui si fa riferimento è un articolo, uscito sul blog La Furia Rossa, nel quale si esprimevano critiche politiche in merito alla conduzione da parte della polizia dello sfratto della famiglia Spanu ad Arborea, il 22 gennaio 2015 (ne avevamo già parlato qui https://bit.ly/2OQTPfX). I signori Francesco Di Ruberto, ex questore di Oristano, Vincenzo Valerioti, capo della Digos oristanese, e Andrea Brigo, agente della stessa, si sono ritenuti diffamati dalle parole presenti in quell’articolo. Nonostante il Pubblico ministero abbia chiesto per due volte l’archiviazione del fascicolo, la presunta parte offesa si è opposta e il Giudice per le indagini preliminari alla fine ha imposto alla procura di formulare un’imputazione. I signori in questione si sono anche costituiti parte civile, chiedendo un risarcimento che assomma in totale a 220 mila euro per “ingente danno morale” e per “ingente danno esistenziale e di immagine”. Non entriamo per ora nel merito della vicenda, ma lo faremo sicuramente nei prossimi tempi. Per il momento ci sembrava importante rendere pubblica questa notizia, per ringraziare chi ci ha sostenuto in questi mesi partecipando alle iniziative di autofinanziamento e per far conoscere la vicenda a chi non ne sapeva nulla.

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Martis, su 2 de ladamini, eus a essi in su Tribunale de Aristanis. Tres militantis nostus funt stèteius a primu indagaus e apustis mandaus a giuditziu po’ “diffamazione”, cun aggravantis varias. Su fatu ca est stètiu cunsiderau est un artìculu, bessiu in su blog La Furia Rossa, anca si fadiant criticas politicas a pitzu de is scebereus de sa polizia in su tempus de su disrobu de sa familla Spanu in Arborea, su 22 de gennarxu 2015. Is sennoris Francesco di Ruberto, ex cuestori de Aristanis, Vincenzo Valerioti, capu de sa Digos aristenesa, e Andrea Brigo, issu puru de sa Digos, si funt intèndius difamadus da is fueddus de cuss’artìculu. Mancai su PM appat pediu duas bortas s’archiviatzioni de su fascìculu, sa presunta parti ofèndia at fatu opositzioni e a sa fini su GIP at custrintu sa Procura a formulai una imputatzioni. Is sennoris si funt puru costituidus parti civili, pedendi unu risarcimentu de 220 mila eurus, po’ “ingenge danno morale” e po’ “ingente danno esistenziale e di immagine”. Po’ imoi no chistionaus de sa storia, ma dd’eus a fai in su tempus benidori. Pensaiaus fessit importanti fai conosci cusa nova, po’ torrai gràtzias a chini si at agiudau in custus mesis benendi a is atòbius de autofinanziamento e po’ fai conosci sa storia a chini non di scidiat nudda.

NOSU CI SEUS, E SIGHEUS A FAI SU CHI SEMPRI EUS FATU. A INNNANTIS!

Totu un’àtera storia

Totu un’àtera stòria non vuole essere un momento di dibattito scientifico. Vuole essere un momento in cui appassionati, studiosi e persone interessate parlano di storia della Sardegna. Dal dibattito non verranno fuori grandi scoperte o rivoluzioni teoriche, non ci interessa quello. Speriamo che venga fuori però un arricchimento generale per coloro che vi prendono parte, nella prospettiva di un confronto fra diverse discipline e fra diversi punti di vista e soprattutto con l’occhio sempre ben fermo al presente. Conoscere la nostra storia per capire dove abbiamo sbagliato e cosa possiamo recuperare del nostro passato con l’obiettivo di costruire un futuro diverso per questa terra e per chi la abita.
Il primo tavolo cercherà di affrontare una dicotomia fondamentale nella storia sarda, quella fra città e campagna. Nello specifico saranno la Città per eccellenza, Cagliari, sede di tutta la macchina regionale e la piccola Cabras, dove un pugno di pescatori mise in piedi una lotta durata più di vent’anni per ottenere la gestione dello stagno. La burocrazia e la politica regionale dovettero fare i conti con quella mobilitazione, ma li fecero a modo loro. Enrico Lobina, militante del circolo cagliaritano ME-TI e profondo conoscitore della storia e della realtà amministrativa sarda, ci racconterà qualche aspetto di quella retorica della riforma che ha permeato l’attività della Regione Autonoma Sarda per sessant’anni e Davide Pinna, militante del Collettivo Furia Rossa, dialogherà con lui, raccontandoci in parte come la retorica della riforma abbia influenzato quella lotta.
Nel secondo tavolo vedremo come ancora oggi l’eredità della Prima Guerra Mondiale influenzi l’immaginario collettivo sardo. Omar Onnis, storico e autore di numerosi libri sulla Sardegna, affronterà nello specifico quello che è stato la Prima Guerra Mondiale per i sardi e le conseguenze che quell’importante evento storico ha avuto sulla nostra terra, sia a livello materiale che a livello ideologico. Con lui dialogherà Andria Pili, studente cagliaritano e militante dell’associazione giovanile indipendentista SCIDA, che si concentrerà soprattutto sulla storia della Brigata Sassari, destreggiandosi fra la costruzione del mito e la realtà storica, spesso nascosta dalla celebrazione di un’ideale che non esiste veramente.
Il terzo tavolo infine vedrà Gigi Olla, insegnante e curatore del sito www.dpsarda.wordpress.com, dialogare con l’ex sindaco di Laconi e membro di Democrazia Proletaria Sarda Paolo Pisu. Il tema sarà quello della storia singolare di DP Sarda, forse uno dei primi esperimenti di incontro fra la sinistra marxista e la questione nazionale sarda.

PROGRAMMA

I Mesa, 17:00

▸ Sartus e citadis, is movimentus popolaris e sa polìtica riformista de sa RAS.
Focus a pitzu de sa luta de is piscadoris de Crabas e de sa retòrica de sa reforma de sa RAS de su ’45 a oi.

Dibatint Enrico Lobina, Davide Cuccureddu Pinna.

II Mesa, 18:30

▸ Prima Gherra Mondiali e Brigata Sassari. Ita nd’est abarrau in s’imaginàriu sardu?

Dibatint Omar Onnis e Andrìa Pili.

III Mesa, 19:30

▸ “Democrazia Proletaria Sarda”, candu sa manca atòbiat sa chistioni natzionali.

Gigi Olla intervistat Paolo Pisu