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Proiezione “Sulla mia pelle” a Oristano

***AGGIORNAMENTO: NECESSARIA PRENOTAZIONE”
Davvero tanta gente si è mostrata interessata alla proiezione del film su Stefano Cucchi. La sala del Centro Servizi Culturali è grande, ma può contenere al massimo 99 persone. Per questo vi chiediamo di darci conferma della vostra effettiva partecipazione con un messaggio privato alla pagina del Collettivo Furia Rossa entro la mezzanotte di domenica 28 Ottobre. Così potremo organizzarci e capire in che modo soddisfare le esigenze di tutti. Grazie per l’attenzione

Il Collettivo Furia Rossa-Oristano, il Centro Servizi Culturali Oristano e l’ Associazione Stefano Cucchi – Onlus organizzano la proiezione del film “Sulla mia pelle. Gli ultimi sette giorni di Stefano Cucchi”. L’evento si svolgerà lunedì’ 5 novembre, a partire dalle 18:00, nei locali del Centro Servizi Culturali di Via Carpaccio a Oristano. Nei prossimi giorni pubblicheremo il programma completo della serata.

 

Il diritto alla trivialità (processo al collettivo furia rossa)

di Gian Luigi Deiana

I notiziari di oggi 12 ottobre riportano una lapidaria dichiarazione resa dal presidente della repubblica sergio mattarella in un incontro con studenti ricevuti al quirinale: “il potere inebria”; condivido al duecento per cento questa fondamentale affermazione ed è sotto la sua autorità che esprimo il mio giudizio sulla surreale vicenda del processo a carico del collettivo oristanese “furia rossa”;

tre attivisti di questo gruppo sono stati denunciati per diffamazione dall’allora questore di oristano e da altri due graduati; il fatto oggetto del processo consiste in una attribuzione sgarbata e peraltro adusata infinite volte da chicchessia, espressa in un comunicato riguardante una controversa azione di polizia; l’ espressione triviale notoriamente più ricorrente nel costume, cioè nel linguaggio abituale in casi come questi, è la parolina “sbirri”; in sardegna si presenta invece una suddivisione più aspra: quella più misurata è “pagaos sunu” e quella più triviale è “canes de istrezu”;

la prima (“pagaos sunu”) è propria di un codice informale (quello magistralmente descritto a suo tempo da antonio pigliaru) che motivava in tal modo una sorta di terreno neutro, o di zona franca, riconosciuto alle forze dell’ordine nel conflitto latente tra le comunità e lo stato: tradotto, il nemico non è l’agente di polizia, che svolge un lavoro, ma è lo stato che dispone questo ordine sociale (la proprietà, le leggi proprietarie ecc.);

la seconda (“canes de istrezu”) è propria dello slang triviale (cioè del linguaggio da trivio) che ordinariamente si avvale di metafore approssimative, a tinte forti e di uso rapido; l’espressione in sé allude spregiativamente al tipo di servizio e di corresponsione, e alla lettera non vi è dubbio che sia un’espressione brutta; il suo significato sommerso allude alla condizione per cui il gendarme che opera sotto comando non può personalmente eccepire sul carattere giusto o ingiusto del comando stesso, e si riduce a semplice esecutore ed anzi (in grazia dei parametri premiali interni alla struttura) appare incentivato a immettere anche nelle operazioni palesemente inique uno zelo inappropriato;

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Il 2 Ottobre inizia il processo a Furia Rossa

Martedì 2 ottobre saremo impegnati al Tribunale di Oristano. Tre nostri militanti sono stati prima indagati e poi rinviati a giudizio per diffamazione, con varie aggravanti. Il fatto a cui si fa riferimento è un articolo, uscito sul blog La Furia Rossa, nel quale si esprimevano critiche politiche in merito alla conduzione da parte della polizia dello sfratto della famiglia Spanu ad Arborea, il 22 gennaio 2015 (ne avevamo già parlato qui https://bit.ly/2OQTPfX). I signori Francesco Di Ruberto, ex questore di Oristano, Vincenzo Valerioti, capo della Digos oristanese, e Andrea Brigo, agente della stessa, si sono ritenuti diffamati dalle parole presenti in quell’articolo. Nonostante il Pubblico ministero abbia chiesto per due volte l’archiviazione del fascicolo, la presunta parte offesa si è opposta e il Giudice per le indagini preliminari alla fine ha imposto alla procura di formulare un’imputazione. I signori in questione si sono anche costituiti parte civile, chiedendo un risarcimento che assomma in totale a 220 mila euro per “ingente danno morale” e per “ingente danno esistenziale e di immagine”. Non entriamo per ora nel merito della vicenda, ma lo faremo sicuramente nei prossimi tempi. Per il momento ci sembrava importante rendere pubblica questa notizia, per ringraziare chi ci ha sostenuto in questi mesi partecipando alle iniziative di autofinanziamento e per far conoscere la vicenda a chi non ne sapeva nulla.

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Martis, su 2 de ladamini, eus a essi in su Tribunale de Aristanis. Tres militantis nostus funt stèteius a primu indagaus e apustis mandaus a giuditziu po’ “diffamazione”, cun aggravantis varias. Su fatu ca est stètiu cunsiderau est un artìculu, bessiu in su blog La Furia Rossa, anca si fadiant criticas politicas a pitzu de is scebereus de sa polizia in su tempus de su disrobu de sa familla Spanu in Arborea, su 22 de gennarxu 2015. Is sennoris Francesco di Ruberto, ex cuestori de Aristanis, Vincenzo Valerioti, capu de sa Digos aristenesa, e Andrea Brigo, issu puru de sa Digos, si funt intèndius difamadus da is fueddus de cuss’artìculu. Mancai su PM appat pediu duas bortas s’archiviatzioni de su fascìculu, sa presunta parti ofèndia at fatu opositzioni e a sa fini su GIP at custrintu sa Procura a formulai una imputatzioni. Is sennoris si funt puru costituidus parti civili, pedendi unu risarcimentu de 220 mila eurus, po’ “ingenge danno morale” e po’ “ingente danno esistenziale e di immagine”. Po’ imoi no chistionaus de sa storia, ma dd’eus a fai in su tempus benidori. Pensaiaus fessit importanti fai conosci cusa nova, po’ torrai gràtzias a chini si at agiudau in custus mesis benendi a is atòbius de autofinanziamento e po’ fai conosci sa storia a chini non di scidiat nudda.

NOSU CI SEUS, E SIGHEUS A FAI SU CHI SEMPRI EUS FATU. A INNNANTIS!

Morte Doddore Meloni, indagini ancora in corso

Un anno fa, il 5 luglio del 2017, moriva dopo due mesi di sciopero della fame in carcere Doddore Meloni. Un vero e proprio caso di cronaca di una morte annunciata, sul quale sono attualmente ancora in corso, dopo un anno, le indagini della procura di Cagliari. Abbiamo chiesto a Cristina Puddu, avvocato di Doddore, di fare un punto della situazione.

«Le indagini sono ancora in corso – spiega l’avvocato oristanese – e per ora il fascicolo non ha degli imputati. Gli esami medici e l’autopsia sono stati eseguiti già da tempo, ma posso immaginare che ora sia in corso il lavoro investigativo del magistrato che, nella ricostruzione di responsabilità e corresponsabilità, può anche essere molto lungo. Dobbiamo aspettare, ma quando le indagini finiranno spero ci sarà la formulazione delle accuse e l’identificazione degli imputati». Doddore Meloni venne arrestato il 28 luglio 2017 sulla strada statale 292, tra Nuraxinieddu e Massama. L’indipendentista terralbese si stava recando presso il carcere oristanese per consegnarsi, dopo essere stato condannato a 4 anni e 11 mesi per reati fiscali e falso. Lo avrebbe fatto a modo suo, con la bandiera dei Quattro mori e un immancabile discorso, ma i carabinieri di Oristano vollero impedirlo in ogni maniera. Scattò così uno scenografico inseguimento a sirene spiegate, nel tentativo di impedire a Meloni di mettere in scena il copione che lui aveva scelto per il suo arresto. I carabinieri fermarono Meloni appena a nemmeno un chilometro, in linea d’aria, dal carcere di Massama, ma si erano dimenticati il mandato di cattura, tanta era la fretta. Brutta figura e traffico bloccato per tre quarti d’ora, fino a quando il mandato non è arrivato e Meloni si è consegnato, dichiarandosi prigioniero politico e affermando: «La dimostrazione che lo Stato italiano ha paura della mia lotta per l’indipendenza della Sardegna e che vuole impedirmi di parlare» (La Nuova Sardegna). Fin da subito iniziò lo sciopero della fame. Meloni era fisicamente un gigante, alto quasi due metri per quasi 110 chili di peso: il 15 giugno, dopo il primo ricovero in ospedale al SS. Trinità di Cagliari, aveva perso 24 chili. Venne dimesso, e nonostante una mobilitazione da parte di tanti politici, intellettuali e persone comuni, il tribunale si rifiutò di concedere i domiciliari: «Le sue condizioni generali “costantemente monitorate e adeguatamente fronteggiate” – dicono ancora gli atti – “non determinano una situazione di incompatibilità con il regime carcerario. Esse risentono della malnutrizione indotta dal suo comportamento alimentare sostenuto da atteggiamenti rivendicativi e oppositivi”» (L’Unione Sarda). Sembra quasi, a leggere queste parole, che non ci credessero, e che se proprio voleva scioperare allora se ne sarebbe dovuto assumere le conseguenze. Alla fine Doddore Meloni li ha fregati tutti, non scherzava e lo sciopero lo ha portato alle estreme conseguenze. Al di là di eventuali responsabilità giudiziarie, lo Stato dovrebbe rendere conto di come e perché un uomo di 74 anni, in carcere per reati fiscali e non per reati violenti, sia stato lasciato morire così.