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CAPO FRASCA, MA QUALI BONIFICHE ?

In questi giorni mentre ci prepariamo a vivere il secondo campeggio internazionale di A Foras – Contra a s’ocupatzione militare de sa Sardigna ci sono tornate in mente alcune parole di Antonsergio Belfiori, delegato COCER e prode difensore dell’occupazione militare della Sardegna.
In una lettera all’onorevole Scanu scriveva: “Inoltre Capo Frasca non è inquinata e lo sanno tutti; non si fa uso di armamento reale e il materiale inerte ferroso lasciato al suolo viene puntualmente raccolto da una ditta privata aggiudicatrice di gara d’appalto. […] Sarebbe ora di finirla di accusare i militari di inquinamento o di farlo intendere usando un linguaggio aleatorio che potrebbe essere fuorviante.” (SardiniaPost, 12 marzo 2016)
A Maggio di quest’ anno in occasione dell’apertura del poligono di Capo Frasca per Monumenti Aperti lo stesso signor Belfiori dichiarava fieramente: “Domenica visiterò personalmente il sito aperto al pubblico per sottolineare che militari e civili possono e devono coesistere insieme trovando, laddove necessario, nuove
forme di comunicazione e più celeri procedure che permettano un modo più snello e veloce per accedere a questi siti naturalistici di pregio RIMASTI INTATTI PROPRIO GRAZIE ALLA PRESENZA MILITARE e sottratti alla cementificazione selvaggia che ha negativamente caratterizzato il nostro paese” (la Nuova Sardegna, 25 Maggio 2017).
Abbiamo ottenuto alcune fotografie che testimoniano la reale situazione di una parte del poligono di Capo Frasca in questi giorni e ci vien da pensare che sia una parte per la quale i militari non si sono prodigati a far da guide turistiche ai visitatori durante l’apertura primaverile di Monumenti Aperti.
Sicuramente queste fotografie sono una chiara testimonianza del contrasto esistente tra quanto dichiarato da Belfiori e la realtà dei fatti.

Il consiglio che noi diamo ai militari, oltre a smettere di dire bugie, è sempre lo stesso: A FORAS!

23 Luglio: Pro una Caminera Noa

È urgente uscire fuori dal processo di “periferizzazione” a cui la Sardegna è stata condannata da decenni di politiche subalterne.

Esiste l’esigenza di una Sardegna autodeterminata e sovrana in un contesto di relazioni e scambi internazionali solidali e giusti all’interno del conteso Europeo e Mediterraneo.

Per arrivare a ciò occorre lavorare a scelte strategiche fondamentali e, conseguentemente, occorre lavorare all’elaborazione di un apposito progetto culturale, politico, economico, sociale.

Proponiamo di ripartire dalle esperienze di opposizione sociale e di conflitto presenti in Sardegna contro gli effetti nefasti di capitalismo, centralismo, clientelismo e colonialismo per fare finalmente fronte comune e per la costruzione di un modello sociale ed economico alternativo a quello liberista incentrato sulla logica del profitto, della spoliazione del territorio e delle sue risorse e sull’iper sfruttamento del lavoro.

Lavoriamo per una società sarda in cui viga il pieno riconoscimento ed esercizio del diritto all’autodeterminazione, all’autogoverno e all’autodecisione dei singoli individui, delle comunità del nostro popolo, vale a dire di una compiuta democrazia dove tutte le opzioni politiche che riguardano il futuro della nazione sarda siano possibili senza ostacoli o diktat esterni.

Facendo seguito alla proposta promossa da più parti di trovare una convergenza tra diversi soggetti (partiti, associazioni, movimenti e singoli individui) di lavorare ad un progetto di liberazione sociale e nazionale sardo, pensiamo sia necessario avviare un percorso di condivisione che stabilisca alcuni punti base utili a costruire un percorso unitario chiaro.

Proponiamo una Piattaforma plurale e non vincolante se non negli obiettivi e nelle battaglie che si deciderà di condividere. Essa sarà una organizzazione che si oppone a qualunque forma di servitù, abbia essa carattere militare, industriale, economico, ideologico o culturale del popolo sardo.

La Piattaforma promuoverà il processo democratico, adottando una posizione chiara e inequivocabile di azione per vie esclusivamente politiche e democratiche. Gli strumenti di azione politica riconosciuti dalla Piattaforma sono l’adesione popolare, la mobilitazione democratica e la partecipazione politico-istituzionale.

Siamo consapevoli che senza lavoro non c’è libertà, e senza autodeterminazione in Sardegna non c’è esercizio vero dei poteri sovrani. L’impostazione centralista e semicoloniale dello Stato italiano va combattuta con la costruzione di una alleanza sociale, culturale politica ed economica, che abbia forza, capacità e intelligenza di imporre l’apertura, nella società sarda di una nuova stagione politica per un radicale cambio di rotta.

Vogliamo da subito sgombrare il campo da ambiguità e rendere manifesti i nostri valori e obbiettivi fondanti individuandoli e sottoscrivendoli in maniera pubblica. Siamo tutti concordi nel partire dalla discussione su tre punti:

• Diritto ed esercizio del diritto all’Autodeterminazione nazionale

• Sostenibilità ambientale

• Diritti civili, politici e sociali per tutti, compresi i migranti

Facciamo appello a tutte le forze dell’opposizione sociale e di classe, ai comitati, ai singoli e a tutti i soggetti interessati a condividere questo percorso di incontrarci domenica 23 luglio a Santa Cristina per fare un bilancio della situazione e iniziare a stabilire un programma di azione comune finalizzato a riscattare i lavoratori e tutti i cittadini della terra di Sardegna.

Programma di lavoro dell’assemblea “Pro una caminera noa”

Ore 10:00 – elezione comitato di gestione

Dalle ore 10:30 alle ore 12:00 – discussione libera: valori, obietivi, finalità.

Dalle ore 12:00 alle ore 13:30 – discussione libera: temi strategici per una Sardegna giusta socialmente, sostenibile, autodeterminata

Dalle ore 13:30 alle 15:00 – Pausa pranzo

Dalle ore 15:00 alle ore 17:00 – proseguo del libero dibattito sui temi strategici.

Dalle ore 17:00 alle ore 19:30 – discussione libera su metodi decisionali e selezione democratica

Ore 20:00 visita archeologica al complesso nuragico di S. Cristina

Indipendentismo, occhio ai falsi profeti: l’armata Maninchedda alla conquista di Oristano

Il filologo, politico e assessore regionale Paolo Maninchedda

L’11 maggio scorso sul blog di Paolo Maninchedda, presidente del Partito dei Sardi, è apparsa una piccata nota di rimprovero nei confronti della stampa oristanese. La ramanzina riguarda la cecità dei giornalisti locali, che non si accorgono che “A Oristano sta succedendo che esiste un partito indipendentista, il Partito dei sardi, il nostro partito, e che questo partito ha costruito insieme ad altre forze politiche una proposta politica credibile per la città”. Già da subito viene da chiedersi in che preciso momento tutto ciò sia iniziato a succedere, perché a guardare indietro, fino a qualche mese fa non ci risulta che Oristano comparisse nella cartina geografica del Partito dei Sardi, né tantomeno che il Partito dei Sardi abbia mai mosso anche un solo dito per un’iniziativa politica nella nostra città. Provare per credere: andate sulla homepage di linkoristano.it, digitate nella barra per la ricerca interna al sito “Partito dei sardi” e …(rullo di tamburi)… non troverete nulla che non faccia riferimento agli incontri nelle segrete stanze che hanno preceduto la consegna delle liste. In realtà, per dovere di cronaca, bisogna sottolineare che appare una proposta pacchianissima di Franciscu Sedda in merito all’apposizione nelle piazze di ogni comune sardo di una copia di un gigante di Mont’e Prama. Franciscu Sedda è un semiologo, segretario del Partito dei Sardi e consulente dell’Assessorato regionale ai Lavori Pubblici – l’assessore è Maninchedda – per un compenso lordo annuo di 82.249,90 euro (qui la fonte). E non scherzate, perché qualcuno potrebbe sempre rispondervi che un semiologo può dare un grande contributo nella scelta dei cartelli stradali.
Ma tornando a noi e alla ramanzina dell’on. Maninchedda, egli rimprovera di non usare, per riferirsi al polo di cui fa parte il Partito dei Sardi, la parola indipendentista. Il polo è in questione, che candida a sindaco il medico Vincenzo Pecoraro, è composto appunto dal Partito dei Sardi, dall’Udc, dalla lista Idee Rinnovabili (che fa capo a Salvatore Ledda) e dalla lista civica Cittadini per Oristano. Ora, qualcuno è in grado di spiegarci con quale faccia si possa definire indipendentista una coalizione dove c’è l’UDC? Chiediamo pubblicamente a Giuliano Uras di confermare o smentire il suo essere indipendentista e lo chiediamo, già che ci siamo, anche a Pierferdinando Casini. Quella di Maninchedda è propaganda spicciola, ci rifiutiamo di dare l’attributo di indipendentista a un partito, come il Partito dei Sardi, e scriviamo queste righe per mettere in guardia tutti coloro che hanno a cuore quella parola. Il PdS governa in regione assieme al Partito Democratico, a Oristano ha provato fino all’ultimo a fare la coalizione col Pd e alla fine è andato con l’UDC che evidentemente offriva condizioni politiche migliori. In un partito che ha come costante l’alleanza con i partiti italiani a tutti i costi, noi di indipendentista ci vediamo ben poco; il filo conduttore dei pellegrinaggi PdS nelle settimane che hanno preceduto la consegna delle liste era quello di puntare all’alleanza con partiti forti (il PD ha un bel bacino di 1500 voti circa e l’UDC risulta il partito più votato alle comunali 2012 con più di 2000 voti), ossia che potessero puntare alla vittoria. Più che di indipendentismo, noi parleremmo di opportunismo.

Sa die de sa Sardigna contr’a s’ocupatzione militare: Oristano c’è.

LQuirra‘assemblea di A Foras, che si riunisce ormai da quasi un anno mettendo insieme le varie anime del movimento contro l’occupazione militare della Sardegna ha lanciato per il 28 aprile un corteo presso il Poligono Interforze del Salto di Quirra.

Il 28 aprile non è una data qualunque, è il giorno della festa nazionale sarda, anniversario della cacciata dei piemontesi da Casteddu nel 1794. Oggi l’occupazione militare è uno degli elementi più marcati e più dannosi dello sfruttamento coloniale messo in atto contro la nostra terra.

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Ateneo unico e diffuso contro lo spopolamento della Sardegna

Ecco l’infografica di SSEO sulo spopolamento della Sardegna fra sessant’anni.

Il Sardinian Socio-Economic Observatory lancia l’allarme: entro sessant’anni la Sardegna perderà il 34% della sua attuale popolazione e si attesterà sul milione di abitanti, diventando l’isola europea (esclusa l’Islanda) con la minore densità di popolazione (Qui l’articolo).

 

Pur essendo privi delle basi scientifiche necessarie allo sviluppo di un’analisi seria in materia, e dunque con estrema umiltà, presentiamo un ragionamento che collega la questione dello spopolamento (e dell’emigrazione giovanile) alla struttura attuale dell’università in Sardegna.

Il punto di partenza è una ricerca dell’ERSU Cagliari del 2012 (qui), che è stata ripresentata però qualche settimana fa suscitando un po’ di dibatitto. Gli autori della ricerca dicono: “è emerso che gli universitari a Cagliari spendono in media 607 euro al mese. In totale: circa 8 milioni al mese e quasi 100 milioni all’anno se si considerano i fuori sede”. Non intendiamo entrare nel merito dei singoli aspetti della ricerca, tutti molto interessanti e che potete scaricare da un link alla fine della pagina dell’ERSU richiamata più in alto. Sottolineiamo solo che la maggior parte degli studenti iscritti all’Università di Cagliari sono fuorisede.

Ora, cosa significa, fra le altre cose, tutto questo? Significa fondamentalmente che ogni anni 100 milioni di euro vengono drenati dalla ricchezza di tutto il resto dell’Isola e trsferiti a Cagliari. La stessa Cagliari che in quanto città capoluogo (ormai metropolitana) ha un maggior accesso ai finanziamenti regionali e nazionali, la stessa Cagliari che per il suo peso demografico ha una maggiore rappresentazione degli interessi all’interno del Consiglio regionale. Inoltre una cifra variabile tra i 15 e i 20 mila giovani si allontana dal proprio paese o città e si trasferisce a Cagliari per almeno tre anni, e questo significa una sottrazione di risorse culturali e lavorative enorme.

La considerazione di questi fatti ci sembra imprescindibile nell’ambito dell’analisi dei problemi dello spopolamento, perché questo fenomeno si verifica su due livelli: quello generale della Sardegna e quello particolare, che vede sul lato in guadagno Cagliari e su quello in perdita tutto il resto dell’Isola. E non è un problema solo dell’interno, anche se lì è sicuramente più grave; senza bisogno di dati, ci rendiamo conto da soli che a Oristano siamo sempre di meno, fra chi parte fuori per lavoro e chi per studiare.

Arriviamo dunque alla proposta, che forse potrebbe essere definita meglio uno spunto di riflessione. La presentiamo con umiltà e senza alcuna velleità di fornire la ricetta contro lo spopolamento e l’impoverimento della Sardegna. Siamo poco più di un milione e mezzo e, se non fosse per il pessimo livello del sistema di trasporti, il territorio che occupiamo sulla terra non è così spropositato e gli spostamenti interni non sarebbero così impraticabili. Sia in una prospettiva indipendentista, che in una autonomista, dobbiamo imparare da ciò che abbiamo subito sulla nostra pelle: il centralismo è un male, l’indipendenza con Cagliari al posto di Roma è un obiettivo non degno di essere perseguito, il potere va diffuso quanto più possibile sul territorio e ogni comunità deve potersi autodeterminare. Nel caso dell’Università potrebbe sembrare che la presenza di due atenei sia un antidoto contro il centralismo, ma se vai a vedere nel concreto ti accorgi che quegli atenei, rappresentanti fondamentalmente degli interessi delle città in cui sorgono (Cagliari e Sassari), rafforzano anziché indebolire la condizione di marginalità del resto dell’Isola: progetti di ricerca, investimenti, ricaduta e indotto economico riguardano quelle due grandi città. Esempio lampante è che nelle ultime settimane solo una forte mobilitazione ha portato la rettrice dell’Università di Cagliari a rinunciare alla chiusura dei corsi tenuti presso il Consorzio UnO di Oristano, chiusura che avrebbe implicato l’attivazione di corsi uguali ovviamente a Cagliari.

Crediamo che la creazione di un ateneo unico, a determinate condizioni, potrebbe essere un modo per invertire la tendenza allo spopolamento e all’impoverimento della Sardegna. Quali sono queste condizioni? Intanto che l’Ateneo non sia sotto il controllo del Ministero, ma sotto quello della Regione; Regione che, con le opportune modificazioni della legge elettorale, deve garantire una sovrarappresentazione dei territori che non rientrano nell’area metropolitana di Cagliari. Inoltre quest’ateneo unico della Sardegna dovrebbe essere diffuso, come funziona adesso a Cagliari, ma in grande su tutto il territorio regionale: determinate città (pensiamo a Oristano, Olbia, Nuoro, Iglesias, o ad Alghero che già adesso ha la facoltà di architettura dell’Università di Sassari), che funzionano da poli di attrazione per il territorio circostante e che hanno le caratteristiche infrastrutturali adatte, dovrebbero ospitare alcuni dei dipartimenti universitari. Non parliamo di doppioni, per fare un esempio se a Oristano ci metti il dipartimento di Studi Umanistici, chi vorrà fare lettere si trasferirà a Oristano; se

a Nuoro ci metti Scienze della Formazione, chi vorrà farlo si trasferirà a Nuoro, e così via.

Siamo nel Terzo millennio e il discorso che andare a studiare a Cagliari è un passaggio fondamentale della vita di un giovane sardo, che gli permette di ampliare le proprie vedute e di iniziare a conoscere il mondo non sta più in piedi. L’Erasmus, la maggiore facilità nel muoversi, le nuove tecnologie sociali smontano completamente questo discorso. Una prospettiva come quella che abbiamo tratteggiato sopra probabilmente comporterebbe una rivitalizzazione, culturale ed economica, dei territori che oggi attraversano la crisi demografica. Culturale perché i progetti di ricerca che nascono nelle università potrebbero essere maggiormente centrati sulle esigenze del territorio rispetto a quanto lo siano adesso nelle sedi cagliaritane e sassaresi, ma anche perché la presenza di giovani studenti comporta sempre un arricchimento della vita culturale di un luogo; economica perché come  abbiamo visto l’indotto dei fuorisede nella sola Cagliari è enorme e la sua redistribuzione nell’intero territorio isolano non potrebbe che produrre vantaggi per le altre regioni sarde. Siamo sicuri che lo spopolamento e l’impoverimento non si possono combattere solo con misure di questo tipo, e non è neanche detto che siano effettivamente risolutrici, ma chiediamo in primo luogo alle associazioni e ai collettivi universitari di provare a ragionare sulla questione che stiamo ponendo e rispondere alla nostra proposta.