Giovedì 11 giugno a Decimomannu un corteo determinato è riuscito ad arrivare fino alle reti dell’aeroporto militare, a costo di confronti anche duri con le forze dell’ordine. Non eravamo tantissimi, circa 200 persone, ma tutti compatti e concentrati sull’obiettivo di raggiungere le reti e dare un forte segnale, nonostante i 12 km di corteo sotto il sole cocente e in mezzo alla polvere e alle sterpaglie. I principali giornali sardi, impreparati di fronte a una reazione di questo tipo, dal momento che loro portano avanti continuamente una campagna di giustificazione della presenza delle basi in Sardegna, hanno iniziato a delirare sulla presenza di infiltrati del blocco nero provenienti dalla penisola. C’erano persone provenienti dal Continente, compagni e fratelli che lottano contro le grandi opere o le basi militari nelle loro regioni, ma nessun infiltrato e nessun membro del blocco nero. Tutti quanti i partecipanti al corteo hanno condiviso la scelta di affrontare i manganelli della celere pur di arrivare fino alle reti, e chi si mette a volto coperto lo fa per tutelarsi da ritorsioni legali e personali. La prima carica della polizia è arrivata a freddo su un gruppo di manifestanti a volto scoperto e mani nude e ha avuto, come risultato la testa spaccata di un compagno di Cagliari. Nervosismo e paura, questa l’aria che si respirava tra le forze dell’ordine, che non si aspettavano minimamente un corteo così compatto nella scelta di resistere alle cariche e nel perseguimento dell’obiettivo. Giovedì a Decimo non è stata messa in scena la classica rappresentazione del conflitto, giovedì il conflitto è stato reale. Certo, i numeri devono crescere, ma questo è stato un piccolo passo in avanti verso la formazione di un movimento ampio e popolare di lotta contro le basi, libero da una gestione politico-istituzionale.
Maggioranza battuta, giunta Tendas in gravissime difficoltà, e approvazione dell’ordine del giorno contro l’impianto ibrido solare termodinamico – biomasse. Questo il riassunto delle quasi quattro ore di consiglio comunale straordinario di venerdì 20 febbraio.
Il Segretario generale è stato chiaro, l’ordine del giorno ha un valore politico, ma non può avere influenza su atti di carattere privatistico fra il comune e l’azienda, nello specifico la convenzione che regolerà i rapporti fra l’amministrazione comunale e la San Quirico Solar Poewer srl, nel caso il progetto venisse approvato dal SAVI. Eppure il nocciolo della questione è proprio questo, il sindaco Tendas e la sua giunta hanno gestito la questione del progetto dell’azienda altoatesina abdicando al proprio ruolo politico e presentandosi come dei notai, per non dire passacarte. E dunque l’ODG, sebbene probabilmente non otterrà gli effetti voluti e il Comune non potrà recedere dalla convenzione firmata con l’azienda, ha un enorme merito, riportare la questione sul piano politico dal quale era stata sfrattata in maniera abusiva. E oltre a questo merito, che è quello che interessa noi della Furia Rossa, ha tante altre conseguenze politiche che affronteremo più avanti.
Oggi ad Arborea la violenza dello stato italiano aveva il volto di Francesco Di Ruberto, questore di Oristano, di Vincenzo Valerioti, capo della Digos di Oristano, di Pino Scrivo, primo dirigente; aveva il volto di tutto gli uomini al loro seguito e di centinaia di celerini, canis de isterzu, anche oggi pronti a portare a casa la pagnotta sulla pelle e la sofferenza altrui.
Una operazione militare in piena regola, con un costo che non ci è dato sapere, portata avanti in modo “esemplare”: l’ unico modo che ci si può aspettare da questi signori.
La nostra è una delle province più povere dello stato italiano e proprio i dati sugli sfratti sono ben esemplificativi della situazione drammatica che si è venuta a creare: se nel 2012 gli sfratti eseguiti con l’intervento dell’ufficiale giudiziario sono stati 7, nel 2013 sono stati ben 57 con una variazione del +714,29% che corrisponde alla più alta variazione di tutte le province dello stato italiano (non sono ancora disponibili i dati del 2014).
L’elemento più preoccupante attorno a questi numeri è il silenzio: 57 sfratti in una provincia come la nostra non passerebbero inosservati e invece avvengono nel silenzio delle famiglie (quello della famiglia Spanu è un caso raro per il rumore che ha fatto e diverso per le motivazioni che vi stanno dietro non essendo eminentemente legate a morosità incolpevole o altre impossibilità di pagare l’affitto), silenzio che equivale a vergogna. A questo punto occorrerebbe un’analisi sociologica del nostro territorio che non siamo in grado di fare, ma dalla quale emergerebbero i necessari caratteri che distinguono i nostri paesi dalle dinamiche sociali di una metropoli; e così da una parte la tipicità delle nostre piccole comunità nell’affrontare le difficoltà sociali che si collegano al forte ruolo che svolge la famiglia in senso ampio come comunità di base, luogo confinato fuori dal quale non bisogna portare determinate questioni; dall’altra il carattere tipico di quelle comunità che storicamente non sono state attraversate dal conflitto sociale e quindi prive oggi come ieri di strutture capaci di diffondere e organizzare la cultura del conflitto e il conflitto.
Quello che bisogna essere capaci di fare oggi è andare a smuovere quel silenzio creando anzitutto solidarietà come quella che si è vista oggi ad Arborea; affrontare la vergogna della povertà non riducendola al caso singolo ma facendone un problema comune e ribadendo fortemente che la vergogna non è la povertà bensì la logica di un sistema economico che mantiene intatte le condizioni per una distribuzione del reddito e delle ricchezze che dire aberrante è poco; mettere in discussione la sacralità della proprietà privata e di conseguenza l’equazione giustizia=diritto.
Occorre ragionare su come mettere in moto anche nel nostro territorio una rete pronta a mobilitarsi ad ogni evenienza, tante sono le strade già tracciate e vincenti.
Ieri nella giornata dello sciopero generale abbiamo fatto una piccola diretta del corteo cagliaritano e in particolare dello spezzone sociale e studentesco al quale abbiamo preso parte. Lo spezzone sociale ad un certo punto della manifestazione si è staccato dal corteo per iniziarne uno selvaggio nelle vie di Castello, conclusosi con l’occupazione dell’ex scuola media Manno. L’occupazione è stata battezzata S.tudentato O.ccupato Sa Domu.
Facciamo i nostri migliori auguri ai compagni di Cagliari coi quali abbiamo iniziato un importante percorso di unità delle lotte studentesche e sociali in Sardegna. Ci auguriamo che possano moltiplicarsi in tutta la Sardegna gli spazi sociali autogestiti, dove poter maturare percorsi culturali e di conflitto in luoghi sottratti al degrado e alle speculazioni dei privati e delle amministrazioni pubbliche.
Quando studiare è un lusso, quando trovare un lavoro dignitoso è una utopia e le uniche alternative giovanili diventano l’apatia e il consumo di droghe, occupare diventa un dovere, per resistere e contrattaccare, per ricreare socialità ormai perse nelle nostre città e nei nostri quartieri.
Arriverà anche il nostro giorno.
Il 12 dicembre migliaia di persone scenderanno in piazza, astenendosi dal lavoro, per il corteo indetto dalla CGIL con l’adesione della Uil. Una risposta ormai indispensabile per il sindacato di Susanna Camusso che, dopo tanto tergiversare, non poteva più aspettare per dare una risposta concreta alle migliaia di lavoratori ormai condannati alla precarietà e allo sfruttamento e che sempre più si vedono negate le più banali garanzie lavorative in nome di un progresso auto-referenziale ed escludente.
Quel giorno in piazza saranno presenti anche gli studenti di tutta la Sardegna, che dovrebbero rappresentare le figure principali per la creazione del sapere nella nostra regione, e invece subiscono da anni una continua dequalificazione ed elitarizzazione dei percorsi formativi. Le politiche degli ultimi anni portate avanti dai governi di centro-destra e centro-sinistra, mandanti delle direttive politiche impostate dal Processo di Bologna, hanno dimostrato la chiara volontà della classe dirigente di smantellare l’università pubblica, rendendo sempre più sterile e nozionistico il sapere universitario. La costante diminuzione del welfare studentesco ha parallelamente generato un sistema competitivo e individualista, creando una vera e propria guerra tra poveri all’interno della componente studentesca. Siamo invece convinti che la soluzione per i problemi degli studenti non sia soltanto scovare chi ogni anno dichiara il falso al momento della richiesta per la borsa di studio e il posto alloggio, ma sia pretendere la copertura TOTALE per tutti coloro che ne hanno diritto.