Tornano a girare con insistenza le voci che la Repubblica Italiana abbia finalmente deciso di affrontare il problema delle scorie nucleari. Non definitivamente, perché mettere le scorie sotto terra non significa risolvere il problema per sempre ma solo posticiparlo di qualche millennio, ma comunque affrontarlo. E come sempre la Regione che appare la migliore per assolvere l’incarico è la Sardegna: terra antisismica, isolata al centro del Mediterrano e poco abitata. Al massimo ci passano i corsi, ma pure loro, si sa, contano poco.
Naturalmente in Sardegna c’è subito aria di mobilitazione, non appena si diffondono queste notizie. Tutti, ma dico tutti, si dichiarano pronti a fare le barricate. Tutti. Anche quelli che sostengono il governo nazionale. Anche quelli che hanno sostenuto i governi precedenti che avevano avuto la stessa idea di mettere le scorie in Sardegna.
Naturalmente c’è anche una piccola minoranza che si dice a favore, e che accusa i contrari di essere NIMBY.
L’attentato alla redazione di Charlie Hebdo, accaduto il sette mattina a Parigi, è un evento che coinvolge tutti sia sul piano emozionale che su quello politico. Per questo, ribadendo prima di ogni cosa che quel sangue va rispettato e pianto, mi sento in dovere di fare alcuni ragionamenti su quanto successo.
In primo luogo il gesto, compiuto probabilmente da tre cittadini francesi, è un atto orribile. Nessuna persona che si dice di sinistra potrà mai solidarizzare con un gesto simile, e nessuno potrà parlare di contrappasso per le colpe dell’Occidente nei confronti del resto del mondo. È quasi inutile esprimere questa condanna, tant’è ovvio, ma credo sia importante metterlo in chiaro perché più avanti proverò a sviluppare dei ragionamenti complessi, che forse non sarò in grado di rendere abbastanza chiari nel passaggio tra la mia mente e la schermata di chi leggerà questo articolo. Dunque nessuna giustificazione, nessuna solidarietà con gli attentatori, nessuna vicinanza ideologica, nessun “il nemico del mio nemico è mio amico” e grande dolore per quanto accaduto. Detto questo, cercherò nelle prossime righe di affrontare quest’evento con un approccio complesso, che tenga conto delle mille sfaccettature della realtà che viviamo.
Alcuni continuano a dire che gli studenti sardi dovrebbero mobilitarsi contro le basi; bisognerebbe spiegargli che noi siamo in piazza dal primo giorno.
L’elemento che ha reso la manifestazione del 13 settembre a Capo Frasca una grande giornata di mobilitazione è stato -come abbiamo già sottolineato in questi due articoli (Capo Frasca 1; Capo Frasca 2)- soprattutto il fatto che la composizione del corteo eccedeva quella delle strutture che lo hanno organizzato. In parole povere il 13 settembre, che è stato organizzato da organizzazioni indipendentiste e comitati storici contro l’occupazione militare, ha visto scendere in piazza persone che non necessariamente appartenevano all’area di riferimento di queste strutture. Questo significa che gli organizzatori erano riusciti in poco tempo (e certo, anche con l’aiuto di alcuni eventi che hanno catalizzato l’attenzione pubblica sul tema delle basi) a costruire una mobilitazione che non era autoreferenziale, ma che parlava realmente ai cittadini sardi potenzialmente mobilitabili contro l’occupazione militare. Quest’elemento, la composizione eccedente della giornata di Capo Frasca, era quello che faceva meglio sperare per il futuro: difatti laddove nel resto d’Europa si è riusciti a costruire forti movimenti antimilitaristi (o contro le grandi opere), è stata proprio la capacità di mettere in gioco intere comunità a fare la differenza. Che in Val di Susa non siano tutti appartenenti al blocco nero o alla cospirazione anarchica internazionale (come vorrebbero quelli del Pd) è autoevidente, il fatto è che tuttavia, ciascuno con le proprie capacità e con i propri contributi, una larghissima parte della comunità si è mobilitata contro l’occupazione militare e contro lo stupro del suo territorio. È ovvio che non si potrà mobilitare mai un’intera comunità o un’intero popolo, ma questo perché appunto la società è divisa in classi e gli stronzi ci sono dappertutto.
Ieri nella giornata dello sciopero generale abbiamo fatto una piccola diretta del corteo cagliaritano e in particolare dello spezzone sociale e studentesco al quale abbiamo preso parte. Lo spezzone sociale ad un certo punto della manifestazione si è staccato dal corteo per iniziarne uno selvaggio nelle vie di Castello, conclusosi con l’occupazione dell’ex scuola media Manno. L’occupazione è stata battezzata S.tudentato O.ccupato Sa Domu.
Facciamo i nostri migliori auguri ai compagni di Cagliari coi quali abbiamo iniziato un importante percorso di unità delle lotte studentesche e sociali in Sardegna. Ci auguriamo che possano moltiplicarsi in tutta la Sardegna gli spazi sociali autogestiti, dove poter maturare percorsi culturali e di conflitto in luoghi sottratti al degrado e alle speculazioni dei privati e delle amministrazioni pubbliche.
Quando studiare è un lusso, quando trovare un lavoro dignitoso è una utopia e le uniche alternative giovanili diventano l’apatia e il consumo di droghe, occupare diventa un dovere, per resistere e contrattaccare, per ricreare socialità ormai perse nelle nostre città e nei nostri quartieri.
Arriverà anche il nostro giorno.
Il 12 dicembre migliaia di persone scenderanno in piazza, astenendosi dal lavoro, per il corteo indetto dalla CGIL con l’adesione della Uil. Una risposta ormai indispensabile per il sindacato di Susanna Camusso che, dopo tanto tergiversare, non poteva più aspettare per dare una risposta concreta alle migliaia di lavoratori ormai condannati alla precarietà e allo sfruttamento e che sempre più si vedono negate le più banali garanzie lavorative in nome di un progresso auto-referenziale ed escludente.
Quel giorno in piazza saranno presenti anche gli studenti di tutta la Sardegna, che dovrebbero rappresentare le figure principali per la creazione del sapere nella nostra regione, e invece subiscono da anni una continua dequalificazione ed elitarizzazione dei percorsi formativi. Le politiche degli ultimi anni portate avanti dai governi di centro-destra e centro-sinistra, mandanti delle direttive politiche impostate dal Processo di Bologna, hanno dimostrato la chiara volontà della classe dirigente di smantellare l’università pubblica, rendendo sempre più sterile e nozionistico il sapere universitario. La costante diminuzione del welfare studentesco ha parallelamente generato un sistema competitivo e individualista, creando una vera e propria guerra tra poveri all’interno della componente studentesca. Siamo invece convinti che la soluzione per i problemi degli studenti non sia soltanto scovare chi ogni anno dichiara il falso al momento della richiesta per la borsa di studio e il posto alloggio, ma sia pretendere la copertura TOTALE per tutti coloro che ne hanno diritto.