SIAMO CHARLIE?

vietL’attentato alla redazione di Charlie Hebdo, accaduto il sette mattina a Parigi, è un evento che coinvolge tutti sia sul piano emozionale che su quello politico. Per questo, ribadendo prima di ogni cosa che quel sangue va rispettato e pianto, mi sento in dovere di fare alcuni ragionamenti su quanto successo.
In primo luogo il gesto, compiuto probabilmente da tre cittadini francesi, è un atto orribile. Nessuna persona che si dice di sinistra potrà mai solidarizzare con un gesto simile, e nessuno potrà parlare di contrappasso per le colpe dell’Occidente nei confronti del resto del mondo. È quasi inutile esprimere questa condanna, tant’è ovvio, ma credo sia importante metterlo in chiaro perché più avanti proverò a sviluppare dei ragionamenti complessi, che forse non sarò in grado di rendere abbastanza chiari nel passaggio tra la mia mente e la schermata di chi leggerà questo articolo. Dunque nessuna giustificazione, nessuna solidarietà con gli attentatori, nessuna vicinanza ideologica, nessun “il nemico del mio nemico è mio amico” e grande dolore per quanto accaduto. Detto questo, cercherò nelle prossime righe di affrontare quest’evento con un approccio complesso, che tenga conto delle mille sfaccettature della realtà che viviamo.


Fin dalle prime ore successive all’attentato i giornalisti e gli opinionisti mettevano in luce come la sparatoria si fosse svolta nel centro della Parigi, undicesimo arrondissement, vicino alla Bastiglia, proprio dove ebbe inizio la rivoluzione francese. “Un attacco al cuore della patria dei diritti dell’uomo” ha detto il corrispondente RAI da Parigi, ma tanti altri hanno ripreso l’immagine. Io, nel sentire queste parole, ho provato una sensazione strana e, non riuscendo a spiegarmela, ho provato a scavare alla ricerca del loro senso più profondo (forse inconscio). Sono riuscito a spiegare questo fastidio, ipotizzando che la frase (e così qualsiasi frase simile pronunciata in questa giornata) non fosse completa, ma che una parte fosse stata sottintesa. Non sempre sottintendere qualcosa è un modo di farla passare in secondo piano, talvolta è uno strumento retorico molto furbo per dare risonanza a un elemento. La frase potrebbe essere la seguente: “Un attacco al cuore della patria dei diritti dell’uomo da parte del mondo islamico”. E poco importa in realtà quello che era nelle intenzioni di chi la frase l’ha pronunciata, perché quel che conta è ciò che potrebbe capire la maggior parte delle persone. Insomma, Parigi viene erta a simbolo dei valori della società occidentale, e l’attentato diventa il simbolo dello scontro di civiltà in corso fra Occidente illuminato e barbaro Islam. Utilizzare i simboli rende sicuramente i concetti più forti e più facili da trasmettere, ma al contempo li semplifica. E non c’è niente di più semplicistico, e di più pericoloso, che sventolare lo spettro dello scontro di civiltà.
Immaginatevi che, dopo il bombardamento al fosforo bianco su Falluja per esempio, qualche intellettuale iracheno progressista avesse detto: “Il cristianesimo moderato deve prendere le distanze dall’atto barbaro che è stato compiuto oggi”. È facile ipotizzare che la maggior parte delle persone avrebbe reagito in maniera perplessa per vari motivi: in primo luogo perché non tutti gli occidentali sono cristiani, e anche i cristiani sono diversi fra loro (ci sono cattolici, ortodossi, luterani, battisti, anglicani, valdesi, etc.); in secondo luogo perché la maggior parte dei cittadini francesi o tedeschi (due stati che non parteciparono all’attacco all’Iraq) avrebbero ritenuto di non avere alcuna colpa e nessuna responsabilità per un gesto compiuto dall’esercito americano. Insomma, è una frase ridicola e questo appare evidente a tutti. Eppure, anche le menti più illuminate e più progressiste della sinistra non si rendono conto di dire una cazzata enorme quando dicono: “L’Islam moderato deve prendere le distanze dall’atto barbaro che è stato compiuto oggi”. A parlare di Islam sono le stesse persone che mai si sognerebbero di definire l’Occidente, come la Cristianità. Io non sono un grande conoscitore dell’argomento, ma ho qualche difficoltà a fare di tutta l’erba un fascio quando devo mettere insieme persone che vivono in Malesia (musulmani), con persone che vivono in Iran (musulmani), con persone che vivono in Senegal (musulmani). Sarebbe come se qualcuno venisse a chiedere conto ai russi delle malefatte compiute dagli americani, o viceversa. Beh sì, la maggior parte degli abitanti dei due paesi si professa cristiana, ma c’è una certa differenza e poi comunque non necessariamente la religione è la loro principale preoccupazione di vita. Insomma, il concetto di mondo islamico è anacronistico quanto lo è quello di mondo cristiano, eppure si preferisce usare due pesi e due misure. Questo perché l’Occidente è la patria delle libertà, della laicità e dei diritti umani. Ma siamo sicuri che questi valori culturali siano così stati rispettati nella pratica? L’Occidente è stato squassato nell’ultimo secolo dalle due peggiori guerre della storia dell’umanità, fino a dieci anni fa nei Balcani si svolgevano regolari operazioni di sterminio e pulizia etnica, quasi la metà ormai dei paesi membri dell’Unione Europea non è una democrazia consolidata, in Inghilterra fino all’altro giorno era in corso un conflitto etnico sanguinoso, i paesi europei sono complici del genocidio che avviene nella acque del Mediterraneo, e possiamo continuare ad libitum. La Francia, patria dei diritti umani, è la stessa Francia che praticava gli esperimenti nucleari nelle isole della Polinesia senza mettere in sicurezza gli abitanti e distruggendo le loro case, la stessa Francia che ha torturato e ucciso in Algeria persone che lottavano per la propria libertà, la stessa Francia che finanzia i signori della guerra nell’Africa centro-occidentale per permettere alle sue aziende di continuare a sfruttare impunemente le materie prime di quei Paesi, la stessa Francia che fece esplodere una nave di Greenpeace ancorata nel porto di Auckland, in Nuova Zelanda, uccidendo un militante dell’organizzazione e anche qua potremmo continuare all’infinito. Forse negli ultimi anni è vero che abbiamo raggiunto uno standard interno di garanzia delle libertà e dei diritti umani abbastanza alto, ma è altrettanto vero che ci dimentichiamo facilmente del fatto che il nostro benessere ha un prezzo e che quel prezzo lo facciamo pagare, in vari modi, a chi vive nel Sud del mondo. Questo forse non c’entra niente con l’attentato parigino, ma questa glorificazione dei valori occidentali è di un’ipocrisia spaventosa se guardiamo con attenzione al nostro comportamento nei confronti del resto del mondo.
Ma allora come fare? Perché il terrorismo islamico, o l’Islam politico che si organizza militarmente e cerca di costruire degli stati come avvenuto nel caso dell’ISIS, sono effettivamente un problema serio e questo non lo può negare nessuno. Andiamo oltre la sovrastruttura, la maschera religiosa e analizziamo questi conflitti e queste situazioni dal punto di vista economico e politico. La questione è che i grandi gruppi terroristi islamici (che poi nel caso dell’ISIS parliamo di un esercito pressoché regolare, ma per i media mainstream è più comodo definirli terroristi) sono forze organizzate che cercano di ottenere il potere politico ed economico nelle aree del mondo dove esistono già situazioni conflittuali, dovuto per esempio agli interessi contrapposti di potenze imperialiste. Non è un caso che il terrorismo islamico è più forte in Cecenia che in Indonesia. Il senso di colpire in occidente, per questi gruppi, è quello di alimentare un clima di terrore che giustifichi azioni militari in Medio Oriente e dunque rafforzi il sentimento anti-occidentale delle popolazioni locali. Forse è un meccanismo troppo semplice, ma funziona. E la religione, o le differenze culturali, sono solo un pretesto. Insomma, credo che abbia poco senso chiamare gli europei a raccolta intorno alla difesa dei valori occidentali della libertà. Si fa il gioco di Marine Le Pen, o di Matteo Salvini, e si entra in un circolo vizioso da cui è impossibile uscire e dentro il quale vincerà sempre chi professa il razzismo e l’oscurantismo. Il fatto è che l’Occidente si deve rendere conto che potrà pretendere rispetto dal resto del mondo, solo nel momento in cui inizierà a comportarsi esso stesso in modo rispettoso. L’estremismo islamico è un fenomeno politico, non religioso, e la risposta è politica. Costruiamo un mondo in cui non esiste più l’imperialismo, e nessun fascista (musulmano, cristiano o pagano) troverà più terreno fertile.

D.P