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CONSIDERAZIONI SULLA MANIFESTAZIONE DEL 13 DICEMBRE

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Alcuni continuano a dire che gli studenti sardi dovrebbero mobilitarsi contro le basi; bisognerebbe spiegargli che noi siamo in piazza dal primo giorno.

L’elemento che ha reso la manifestazione del 13 settembre a Capo Frasca una grande giornata di mobilitazione è stato -come abbiamo già sottolineato in questi due articoli (Capo Frasca 1; Capo Frasca 2)- soprattutto il fatto che la composizione del corteo eccedeva quella delle strutture che lo hanno organizzato. In parole povere il 13 settembre, che è stato organizzato da organizzazioni indipendentiste e comitati storici contro l’occupazione militare, ha visto scendere in piazza persone che non necessariamente appartenevano all’area di riferimento di queste strutture. Questo significa che gli organizzatori erano riusciti in poco tempo (e certo, anche con l’aiuto di alcuni eventi che hanno catalizzato l’attenzione pubblica sul tema delle basi) a costruire una mobilitazione che non era autoreferenziale, ma che parlava realmente ai cittadini sardi potenzialmente mobilitabili contro l’occupazione militare. Quest’elemento, la composizione eccedente della giornata di Capo Frasca, era quello che faceva meglio sperare per il futuro: difatti laddove nel resto d’Europa si è riusciti a costruire forti movimenti antimilitaristi (o contro le grandi opere), è stata proprio la capacità di mettere in gioco intere comunità a fare la differenza. Che in Val di Susa non siano tutti appartenenti al blocco nero o alla cospirazione anarchica internazionale (come vorrebbero quelli del Pd) è autoevidente, il fatto è che tuttavia, ciascuno con le proprie capacità e con i propri contributi, una larghissima parte della comunità si è mobilitata contro l’occupazione militare e contro lo stupro del suo territorio. È ovvio che non si potrà mobilitare mai un’intera comunità o un’intero popolo, ma questo perché appunto la società è divisa in classi e gli stronzi ci sono dappertutto.

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POLIGONO DI TEULADA: ZONA VALICABILE

limOggi nuova marcia contro le basi militari in Sardegna. Una passeggiata lungo il perimetro del Poligono di Teulada per dire basta all’occupazione e alle esercitazioni militari in Sardegna; un’altra importante tappa verso la manifestazione natzionale del 13 Dicembre che si terrà a Cagliari.

Come è già successo a Capo Frasca anche nella giornata di oggi delle anonime tenaglie hanno tagliato le reti e permesso a diversi attivisti di entrare nella base e soprattutto di fermare per più di un’ora le esercitazioni militari.

Il poligono di Teulada è il secondo in Italia per estensione con 7.200 ettari di terreno cui si devono sommare i 75.000 ettari delle zone di restrizione dello spazio aereo e le zone interdette alla navigazione, quelle che nel linguaggio giuridico si chiamano servitù militari ma che nel linguaggio del popolo sardo si chiamano occupazione militare.

Sulla giornata di oggi abbiamo sentito al telefono Enrico del Comitato Studentesco contro l’occupazione militare della Sardegna:

IL MOVIMENTO SARDO CONTRO LE BASI E L’ORGANIZZAZIONE DEI MOVIMENTI DI MASSA

Esistono movimenti sociali spontanei? E laddove esistessero, hanno delle prospettive di raggiungimento dei loro obiettivi se non si organizzano in maniera strutturata? Questa domanda ha segnato profondamente il dibattito all’interno della Sinistra nel Novecento, creando spaccature talvolta incolmabili e che ancora oggi minano l’unità dei movimenti di emancipazione degli oppressi.

La risposta di sicuro non è alla portata della Furia Rossa, ma proviamo a dare un nostro contributo in una fase storica in cui in Sardegna sta sorgendo un movimento importante e di massa. Durante l’assemblea del 31 agosto, “Dalle lotte dei territori alla lotta collettiva per una Sardegna migliore”, Enrico Lobina e Edoardo Lai nei loro interventi hanno posto la questione dell‘organizzazione delle forze conflittuali sarde. Si tratta indubbiamente di uno dei punti fondamentali per determinare il successo o meno del movimento che vediamo nascere in questi mesi.

Se anche volessimo dividere le forze in campo fra spontaneisti e strutturalisti*, dovremmo fin da subito precisare che non esistono spontaneisti ortodossi o puri. Esistono, è vero, dei comportamenti collettivi spontanei ed in genere si possono ritrovare negli atteggiamenti di una folla: un linciaggio, una carica contro la polizia, il panico che porta alla fuga incontrollata, etc… tuttavia si tratta di momenti, di situazioni che rispondono alle precise dinamiche comportamentali che si sviluppano appunto in presenza di una folla, e che in genere hanno una durata breve e non comportano alcun tipo di decisione sul medio o lungo periodo. Insomma, si tratta di azioni in cui l’istinto prevale sul raziocinio e che possono avere un valore politico che però non è autosufficiente. Questo significa che nel caso questi fenomeni non siano supportati in un arco di tempo relativamente breve da un adeguato processo decisionale che le indirizzi verso un obiettivo, scoppiano come una bolla di sapone. E anche il più ortodosso degli spontaneisti è costretto a riconoscere che questo è vero.

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ALCUNE NOTE SULLA MANIFESTAZIONE DEL 13 SETTEMBRE A CAPO FRASCA

Il primo fatto da sottolineare sulla giornata del 13 Settembre è la presenza di oltre sette mila persone. Una manifestazione di popolo storica per la Sardegna, merito che bisogna riconoscere al grande lavoro delle forze indipendentiste che hanno dato vita a sa manifestada natzionale.
L’altro fatto da sottolineare, che insieme alla partecipazione mostra la determinazione dei sardi a intensificare la lotta contro le basi militari, è la rottura delle reti e l’invasione della base.
Quest’ultimo fatto, che la stampa mainstream tende a risolvere in qualche riga parlando di facinorosi e provocatori, è invece un passaggio di non poco conto nell’evoluzione del conflitto in Sardegna, un passo in avanti pubblicamente auspicato dall’assemblea del 31 Agosto a Oristano, per andare oltre i legittimi e necessari sit-in e comizi. Violare la base e buttare giù le reti è stato il principale affronto agli apparati repressivi dello Stato italiano e all’aviazione che si addestra alla guerra a casa nostra; uno smacco allo Stato in un luogo che assieme alle carceri e qualche altro punto di interesse strategico dovrebbe essere tra i più inaccessibili.

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UN FRONTE COMUNE CONTRO L’OCCUPAZIONE MILITARE DELLA SARDEGNA

E’ necessaria la creazione di un fronte comune contro l’occupazione militare della Sardegna. Il momento è chiaramente propizio: la situazione geopolitica internazionale è tesa e all’orizzonte si profila una nube dai confronti sempre più definiti che preconizza uno scontro fra opposte potenze imperialiste, scontro nel quale, come in ogni guerra, ci rimetteranno i deboli di tutto il mondo; l’attacco israeliano a Gaza, conclusosi da poco più di una settimana, ha destato scandalo nel mondo ed è proprio in Sardegna che dal 21 settembre inizieranno le operazioni di addestramento dello stato sionista; l’incendio di giovedì scorso nel poligono di Capo Frasca, che ha avuto origine da un’esercitazione aerea dell’aviazione tedesca, ha infiammato gli animi dei molti sardi contrari alle servitù militari.
Non è tempo per portare avanti lotte di rivendicazione della paternità della lotta antimilitarista in Sardegna, la vittoria si raggiungerà solo quando tutte le forze che possono mobilitarsi raggiungeranno il traguardo e dunque ha poco senso fare a gara per arrivare per primi, perché ciò che conta è il tempo collettivo e non del primo arrivato.
Un importante segnale del fatto che la situazione è sul punto di esplodere è che anche gli esponenti più moderati dei movimenti e dei partiti più moderati si ritrovano a protestare con il governo italiano. Certo, viene spontaneo chiedersi se Pigliaru sia dotato del senso del ridicolo nel momento in cui accenna delle timide proteste nei confronti del ministro della Difesa, chiedendo come elemosina che si sospendano le esercitazioni almeno nella stagione balneare. Posizioni come questa vanno accantonate, spingendo chi le sostiene a prendere atto della realtà e dunque a dichiarasi interamente contrari all’occupazione militare della Sardegna e nel caso questo non sia possibile escludendoli da questo fronte.

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