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SFRATTI E SGOMBERI. E’ ORA DI ORGANIZZARSI.

5823373730103327951251545643310nOggi ad Arborea la violenza dello stato italiano aveva il volto di Francesco Di Ruberto, questore di Oristano, di Vincenzo Valerioti, capo della Digos di Oristano, di Pino Scrivo, primo dirigente; aveva il volto di tutto gli uomini al loro seguito e di centinaia di celerini, canis de isterzu, anche oggi pronti a portare a casa la pagnotta sulla pelle e la sofferenza altrui.
Una operazione militare in piena regola, con un costo che non ci è dato sapere, portata avanti in modo “esemplare”: l’ unico modo che ci si può aspettare da questi signori.

La nostra è una delle province più povere dello stato italiano e proprio i dati sugli sfratti sono ben esemplificativi della situazione drammatica che si è venuta a creare: se nel 2012 gli sfratti eseguiti con l’intervento dell’ufficiale giudiziario sono stati 7, nel 2013 sono stati ben 57 con una variazione del +714,29% che corrisponde alla più alta variazione di tutte le province dello stato italiano (non sono ancora disponibili i dati del 2014).
L’elemento più preoccupante attorno a questi numeri è il silenzio: 57 sfratti in una provincia come la nostra non passerebbero inosservati e invece avvengono nel silenzio delle famiglie (quello della famiglia Spanu è un caso raro per il rumore che ha fatto e diverso per le motivazioni che vi stanno dietro non essendo eminentemente legate a morosità incolpevole o altre impossibilità di pagare l’affitto), silenzio che equivale a vergogna. A questo punto occorrerebbe un’analisi sociologica del nostro territorio che non siamo in grado di fare, ma dalla quale emergerebbero i necessari caratteri che distinguono i nostri paesi dalle dinamiche sociali di una metropoli; e così da una parte la tipicità delle nostre piccole comunità nell’affrontare le difficoltà sociali che si collegano al forte ruolo che svolge la famiglia in senso ampio come comunità di base, luogo confinato fuori dal quale non bisogna portare determinate questioni; dall’altra il carattere tipico di quelle comunità che storicamente non sono state attraversate dal conflitto sociale e quindi prive oggi come ieri di strutture capaci di diffondere e organizzare la cultura del conflitto e il conflitto.
Quello che bisogna essere capaci di fare oggi è andare a smuovere quel silenzio creando anzitutto solidarietà come quella che si è vista oggi ad Arborea; affrontare la vergogna della povertà non riducendola al caso singolo ma facendone un problema comune e ribadendo fortemente che la vergogna non è la povertà bensì la logica di un sistema economico che mantiene intatte le condizioni per una distribuzione del reddito e delle ricchezze che dire aberrante è poco; mettere in discussione la sacralità della proprietà privata e di conseguenza l’equazione giustizia=diritto.
Occorre ragionare su come mettere in moto anche nel nostro territorio una rete pronta a mobilitarsi ad ogni evenienza, tante sono le strade già tracciate e vincenti.

NIMBY ASTESSI TUI!

Tornano a girare con insistenza le voci che la Repubblica Italiana abbia finalmente deciso di affrontare il proscorie-nucleariblema delle scorie nucleari. Non definitivamente, perché mettere le scorie sotto terra non significa risolvere il problema per sempre ma solo posticiparlo di qualche millennio, ma comunque affrontarlo. E come sempre la Regione che appare la migliore per assolvere l’incarico è la Sardegna: terra antisismica, isolata al centro del Mediterrano e poco abitata. Al massimo ci passano i corsi, ma pure loro, si sa, contano poco.

Naturalmente in Sardegna c’è subito aria di mobilitazione, non appena si diffondono queste notizie. Tutti, ma dico tutti, si dichiarano pronti a fare le barricate. Tutti. Anche quelli che sostengono il governo nazionale. Anche quelli che hanno sostenuto i governi precedenti che avevano avuto la stessa idea di mettere le scorie in Sardegna.

Naturalmente c’è anche una piccola minoranza che si dice a favore, e che accusa i contrari di essere NIMBY.

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CONSIDERAZIONI SULLA MANIFESTAZIONE DEL 13 DICEMBRE

studenticontrolebasi
Alcuni continuano a dire che gli studenti sardi dovrebbero mobilitarsi contro le basi; bisognerebbe spiegargli che noi siamo in piazza dal primo giorno.

L’elemento che ha reso la manifestazione del 13 settembre a Capo Frasca una grande giornata di mobilitazione è stato -come abbiamo già sottolineato in questi due articoli (Capo Frasca 1; Capo Frasca 2)- soprattutto il fatto che la composizione del corteo eccedeva quella delle strutture che lo hanno organizzato. In parole povere il 13 settembre, che è stato organizzato da organizzazioni indipendentiste e comitati storici contro l’occupazione militare, ha visto scendere in piazza persone che non necessariamente appartenevano all’area di riferimento di queste strutture. Questo significa che gli organizzatori erano riusciti in poco tempo (e certo, anche con l’aiuto di alcuni eventi che hanno catalizzato l’attenzione pubblica sul tema delle basi) a costruire una mobilitazione che non era autoreferenziale, ma che parlava realmente ai cittadini sardi potenzialmente mobilitabili contro l’occupazione militare. Quest’elemento, la composizione eccedente della giornata di Capo Frasca, era quello che faceva meglio sperare per il futuro: difatti laddove nel resto d’Europa si è riusciti a costruire forti movimenti antimilitaristi (o contro le grandi opere), è stata proprio la capacità di mettere in gioco intere comunità a fare la differenza. Che in Val di Susa non siano tutti appartenenti al blocco nero o alla cospirazione anarchica internazionale (come vorrebbero quelli del Pd) è autoevidente, il fatto è che tuttavia, ciascuno con le proprie capacità e con i propri contributi, una larghissima parte della comunità si è mobilitata contro l’occupazione militare e contro lo stupro del suo territorio. È ovvio che non si potrà mobilitare mai un’intera comunità o un’intero popolo, ma questo perché appunto la società è divisa in classi e gli stronzi ci sono dappertutto.

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POLIGONO DI TEULADA: ZONA VALICABILE

limOggi nuova marcia contro le basi militari in Sardegna. Una passeggiata lungo il perimetro del Poligono di Teulada per dire basta all’occupazione e alle esercitazioni militari in Sardegna; un’altra importante tappa verso la manifestazione natzionale del 13 Dicembre che si terrà a Cagliari.

Come è già successo a Capo Frasca anche nella giornata di oggi delle anonime tenaglie hanno tagliato le reti e permesso a diversi attivisti di entrare nella base e soprattutto di fermare per più di un’ora le esercitazioni militari.

Il poligono di Teulada è il secondo in Italia per estensione con 7.200 ettari di terreno cui si devono sommare i 75.000 ettari delle zone di restrizione dello spazio aereo e le zone interdette alla navigazione, quelle che nel linguaggio giuridico si chiamano servitù militari ma che nel linguaggio del popolo sardo si chiamano occupazione militare.

Sulla giornata di oggi abbiamo sentito al telefono Enrico del Comitato Studentesco contro l’occupazione militare della Sardegna:

CONTRO IL JOBS ACT, PER LA DIGNITA’

Ieri in Senato si è compiuto l’atto finale con l’approvazione del disegno di legge 1428 che permetterà al governo Renzi di riscrivere su un foglio bianco gran parte del diritto del lavoro italiano. Il jobs act si appresta ad essere il più grande attacco ai diritti dei lavoratori dalla caduta del fascismo ad oggi, l’epilogo naturale delle leggi Treu, Biagi, Fornero; Renzi sta per riuscire dove neanche Berlusconi e Monti sono riusciti come ammettono gli stessi Alfano e Sacconi, stupiti che sono riusciti nel loro intento solo con un governo a maggioranza Partito Democratico.
Il jobs act sarà scritto con le penne di Confindustria, Confcommercio e di tutti i padroni che sognano un futuro ottocentesco per i loro schiavi-lavoratori, ben contenti di essere i registi dell’ennesima battaglia vinta in questa guerra di classe a senso unico.

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