CONTRO IL JOBS ACT, PER LA DIGNITA’

Ieri in Senato si è compiuto l’atto finale con l’approvazione del disegno di legge 1428 che permetterà al governo Renzi di riscrivere su un foglio bianco gran parte del diritto del lavoro italiano. Il jobs act si appresta ad essere il più grande attacco ai diritti dei lavoratori dalla caduta del fascismo ad oggi, l’epilogo naturale delle leggi Treu, Biagi, Fornero; Renzi sta per riuscire dove neanche Berlusconi e Monti sono riusciti come ammettono gli stessi Alfano e Sacconi, stupiti che sono riusciti nel loro intento solo con un governo a maggioranza Partito Democratico.
Il jobs act sarà scritto con le penne di Confindustria, Confcommercio e di tutti i padroni che sognano un futuro ottocentesco per i loro schiavi-lavoratori, ben contenti di essere i registi dell’ennesima battaglia vinta in questa guerra di classe a senso unico.


Gli unici resistenti ieri hanno provato a circondare il Senato, i movimenti sociali, che negli ultimi anni si sono dimostrati l’unica reale opposizione sociale di questo Paese contro le politiche di furto e di austerity, costruendo percorsi dal basso di riappropriazione e per il soddisfacimento dei bisogni materiali negati dal potere e dall’ingordigia del capitale.
Le opposizioni dentro il palazzo si sono declinate in atti poco sostanziali da parte dei soliti quacquaraquà; la cosidetta “sinistra” del PD lieta di aver modificato parte del ddl non ha cambiato di una virgola la sostanza e ovviamente ha la votato la fiducia al suo capo scout.
Questa è la parte di ddl che si vantano di aver modificato:

“previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l’impugnazione del licenziamento (art.1, c.7, lett. c)

La realtà è molto semplice, nessun padrone licenzia un lavoratore con la motivazione formale del “tu sei negro, tu sei comunista, tu sei della FIOM, tu hai scioperato troppo, tu mi hai risposto male, tu sei andato a letto con mia figlia” o sbaglia la forma e i tempi per il licenziamento; per tutti questi motivi potranno ricorrere ai motivi economici per i quali con il jobs act i giudici avranno poco da valutare non potendo più sentenziare tra reintegro sul posto di lavoro o indennizzo ma avendo a disposizione solo l’ultimo. Quindi se il testo della futura legge nella forma rimarrà fedele alla Costituzione e a tutte le dichiarazioni universali sui diritti dell’uomo non vi rimarrà fedele nella sostanza, che è quella che conta.

I politici e i professorini ci tengono a sottolineare che non verrà modificato solo l’art.18: è vero, con il jobs act infatti sarà più facile demansionare i lavoratori quindi adibirli a mansioni inferiori a quelle per cui sono stati assunti o a quelle più alte che hanno conquistato, insomma un assist al mobbing legalizzato (art.1, c.7, lett.e); è prevista l’estensione del lavoro accessorio ad altre attività lavorative e settori produttivi, per intenderci il lavoro pagato attraverso i voucher attualmente privi di riferimento a contratti collettivi e senza la possibilità per i lavoratori di maturare ferie, tfr, straordinari etc. (art.1, c.7, lett.h); è poi prevista una revisione sui controlli a distanza dei lavoratori (art.1, c.7, lett.f), attualmente la disciplina, regolata dall’art.4 dello Statuto dei lavoratori, è molto protettiva e per questo gli unici margini che si prospettano nella futura legge saranno peggiorativi.

Il jobs act è un attacco contro tutti i lavoratori, sia i cosidetti garantiti o per qualcuno privilegiati (!!!), che nella perversa logica dell’attuale narrazione politica e giornalistica sono i lavoratori a tempo indeterminato, sia contro gli attuali precari e chi in futuro entrerà nel mondo del lavoro; bisogna rovesciare la retorica renziana della dicotomia garantiti/non garantiti con la quale il governo ha giustificato le sue politiche sul lavoro sottendendo che il jobs act è una riforma a favore dei giovani e che riporta uguaglianza di diritti. Anzitutto bisogna ribadire che noi della uguaglianza al ribasso non ce ne facciamo un cazzo ma soprattutto dobbiamo far capire che il vero risultato è l’esatto contrario di quello propagandato, infatti noi giovani siamo doppiamente penalizzati: da un parte direttamente in virtù della maggiori possibilità offerte ai padroni di poterci assumere con contratti a tempo determinato e in virtù del fatto che se mai saremo assunti a tempo indeterminato saremo sottoposti al contratto a tutele crescenti; d’altra parte indirettamente perché quei cosidetti garantiti (che per via del jobs act perderanno questa qualifica) nella maggior parte dei casi garantiscono noi, sono i nostri genitori, sono il nostro reale welfare state che ci permette di studiare e ci permette un po’ di benessere nelle fasi di disoccupazione. E’ chiaro che rendendo meno certa per legge la loro stabilità lavorativa sprofondiamo in un doppio stato di precarietà.

Insomma il jobs act è l’emblema della brutalità delle classi dominanti che non intendono pagare per i disastri da loro commessi; un’ offensiva che esaspera ulteriormente il clima sociale e che si declina sia nel rafforzamento delle lotte della classe operaia e del precariato sociale ma che può sfociare anche in forme più spinte come ben sa Filippo Taddei, responsabile economico del PD e uno dei principali redattori del jobs act, che per via del suo operato è attualmente sotto scorta per avere ricevuto minacce di morte.
Non sappiamo se il governo Renzi col suo modo di agire stia cercando il suo nuovo Marco Biagi su cui piangere e al quale dedicare una legge ma si ricordi in ogni caso che questa guerra l’ha scatenata Lui.

cfr