Si è tenuta venerdì scorso a Sant’Anna, frazione di Marrubiu, una riunione pubblica organizzata dall’Amministrazione Comunale per discutere con la popolazione della proposta, giunta dal parroco del paese, di realizzare un centro di accoglienza per migranti nella borgata1.
Non ci interessa ora fare una descrizione dettagliata di come la riunione sia andata, quanto provare a sviluppare alcune riflessioni su quello che è diventato il tema principale del dibattito pubblico generale.
In particolare proveremo ad analizzare il fenomeno da due punti di vista differenti: da un lato la costruzione del migrante come capro espiatorio di tutti i mali; dall’altro lato, invece, la funzione che il migrante sta assumendo nel sistema economico italiano, attraverso un processo di valorizzazione e sfruttamento di questi soggetti. Proveremo inoltre a comprendere perché questo fenomeno esiste e perché in questi anni ha avuto un’ impennata così forte (sebbene non così forte da parlare di “emergenza” e “numeri allarmanti”).
La narrazione dominante: la paura dell’uomo nero
Durante l’assemblea era palpabile tra i presenti un timore diffuso per l’arrivo di questi ragazzi, un timore che riguardava gli aspetti economici piuttosto che quelli sociali e psicologi («viene vissuta dalla popolazione come una vera minaccia, e non per un problema di razzismo o mancante volontà di accoglienza, ma proprio perché la comunità è già sofferente per un insieme di problemi non risolti e dalla sensazione di essere abbandonata dalle istituzioni» c’era scritto nella lettera che gli abitanti di Sant’Anna hanno inviato alle principali istituzioni della provincia di Oristano2 e che ha portato poi all’assemblea pubblica).
Una paura oramai condivisa da moltissime persone, conseguenza della costruzione, da parte dei media e dei partiti dell’arco istituzionale, della retorica della “emergenza immigrazione”.