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PROTESTE DEI PASTORI: IL TEATRINO DI LEGA E COLDIRETTI

Salvini si abbraccia con i vertici regionali di Coldiretti

Qualche giorno fa l’avevamo annunciato, ora il brutto presentimento è diventato realtà. La Lega ha messo le sue mani sulla lotta dei pastori ed è pronta ad approfittarne in vista delle Regionali del 24 febbraio. In questi giorni si sono verificati una serie di avvenimenti che, messi in fila, rendono un quadro ben preciso.

Il penultimo passaggio è stato l’esito negativo della visita grottesca, come l’ha perfettamente definita il sindaco di Villanovaforru Maurizio Onnis, di Giuseppe Conte. Il premier doveva venire in Sardegna per altro, ma, visto il clima di fuoco che si respira nell’isola, ha pensato bene di provare a far riguadagnare qualche punto ai Cinque Stelle che, nonostante abbiano un pastore in Parlamento, sono incapaci di trovare una rapida soluzione al problema del prezzo del latte ovino. Solo promesse, fra le quali quella di un tavolo lunedì 21 febbraio, una follia se si pensa che il clima è già tesissimo e aspettare 10 giorni può voler dire non essere più in grado di fermare l’escalation.

Prima c’erano stati alcuni altri segnali: l’annuncio da parte di Coldiretti del boicottaggio del tavolo regionale previsto per domani, mercoledì 13 febbraio e le dichiarazioni di Salvini: “Se la Regione non riesce a fare il suo lavoro, interverrà lo Stato”.

Poi Coldiretti ha realizzato un vero e proprio assist per il segretario della Lega, la manifestazione di oggi, martedì 12 febbraio, davanti a Montecitorio. Guarda caso (chi se lo sarebbe mai aspettato?) al termine della manifestazione una delegazione Coldiretti ha incontrato il ministro dell’Interno e vicepremier, Matteo Salvini, che ha annunciato: “Entro 48 ore la soluzione, faremo un tavolo giovedì 14”. Baci e abbracci al termine dell’incontro, nonostante Salvini sia l’autore dei provvedimenti che potrebbero costare anni di galera per alcuni pastori scesi in piazza in questi giorni. La manovra insomma ha funzionato perfettamente: viene scavalcato Conte (e con lui il Movimento 5 Stelle), che aveva promesso un incontro per il 21 febbraio e viene ridotto all’impotenza Pigliaru (e con lui Zedda e il centrosinistra), che mercoledì parteciperà a un tavolo il cui esito negativo è molto probabile, anche in virtù dell’assenza di Coldiretti.

Un bel pacco, insomma, quello recapitato da Salvini ai principali oppositori del centrodestra per le elezioni del 24. Centrosinistra e Movimento 5 Stelle se la sono cercata, affari loro. A rimetterci però saremo tutti quanti, a meno che non avvengano due cose. La prima speranza è che il movimento dei pastori non si lasci abbindolare dalle moine di Salvini, la seconda è che nei prossimi giorni la lotta dei pastori venga affiancata da altre mobilitazioni, perché i problemi dell’isola non si risolveranno mai, se non con l’affermazione del diritto dei sardi ad autodeterminarsi e con la costruzione di un nuovo modello economico e sociale, che metta al primo posto la dignità delle persone e non il profitto.

LA LUNGA MANO DELLA LEGA SULLA LOTTA DEI PASTORI

I tumulti nel mondo della pastorizia sarda si intrecceranno inevitabilmente con le ultime settimane di campagna elettorale per la Regione e c’è un partito che ha una carta pesante da giocare: la Lega che controlla il ministero dell’Agricoltura. Ieri il ministro Centinaio lo ha annunciato: «A giorni sarò in Sardegna» e fin qui nulla di strano, il ministro dell’Agricoltura in carica non può far finta che non stia succedendo nulla. Probabilmente però Centinaio arriverà sbandierando la soluzione definitiva all’ormai decennale problema del prezzo del latte ovino, e qua sorge il problema.

Chiunque conosca la situazione del settore ovino dell’isola, sa che il problema del latte pagato pochi spiccioli è strutturale e non può essere risolto in qualche giorno. Ciò che bisogna fare adesso è risolvere l’emergenza. Come? Non lo sappiamo ma permetteteci di dire, associandoci a molti altri, che contributi e sussidi non ci disgustano, considerando che lo stato paga ogni giorno milioni di euro in contributi e sussidi a qualsiasi tipo di industria. Sul piano strutturale, beh, noi la nostra la abbiamo detta: solo una Sardegna libera e non capitalista è in grado di garantire un trattamento dignitoso ai lavoratori, pastori compresi.

Tornando al discorso Lega, però, è inevitabile che una forza politica che ha compiuto un tale investimento sulla politica sarda punti alla strumentalizzazione di quello che sta accadendo questi giorni. Che la Lega sia al ministero dell’Agricoltura non è certo un caso: il settore agricolo nel Nord Italia muove fatturati da milioni e milioni di euro e, contestualmente, muove milioni di voti. Nel 2018 è poi arrivata la svolta di Coldiretti, la principale associazione di categoria degli agricoltori italiani, che, dopo aver sostenuto per qualche anno il Pd di Renzi – promuovendo il Sì al referendum costituzionale – è passata, armi e bagagli, nel campo di Salvini, che dal canto suo ha sposato le principali rivendicazioni dell’associazione di categoria giallo-verde (ah, i casi della vita!).

L’impressione che si ha da fuori, rispetto a quello che sta succedendo nel mondo dei pastori, è che c’è un forte rimescolamento delle carte, con il Movimento Pastori Sardi che è stato colto di sorpresa dalle esplosioni di rabbia degli ultimi giorni. Insomma, se c’è un movimento spontaneo di rabbia popolare, come sembrerebbe che stia succedendo nel mondo dei pastori, qualcuno cercherà sicuramente di sovradeterminarlo e questo è quello che, probabilmente, i settori più vicini alla Lega cercheranno di fare nei prossimi giorni. L’MPS, che da settimane dice chiaro e forte che non appoggerà nessun partito, ha parato il colpo, con un bel comunicato in cui non prende le distanze da quanto successo nelle strade e chiama i pastori all’unità e alla lotta senza bandiere (e senza quartiere). La prossima settimana è molto probabile che si muoveranno altri pezzi nello scacchiere, e mosse pesanti potrebbero arrivare appunto dalla Lega – non da sola, ovviamente, ma supportata da alcune associazioni e settori all’interno del mondo pastorale -, con l’unico obiettivo di capitalizzare la protesta e raccogliere più voti possibili.

La Lega può proporre soluzioni strutturali? Impossibile. Non può perché lei deve fare determinati interessi, quelli che nascono nel Nord dove prende – ancora adesso, nonostante sia diventato un partito italiano – la maggior parte dei suoi voti e la maggior parte dei suoi soldi. È lo stesso discorso per cui è impossibile che la Lega faccia gli interessi dei sardi nell’ambito della Sanità: quanti soldi e quanti voti arrivano agli ex secessionisti padani dal mondo della sanità privata lombarda? Tantissimi. E figuratevi se, in una terra come la nostra, dove la sanità pubblica è stata devastata dalle politiche scellerate del centrosinistra, i big della sanità privata lombarda non sentono il profumo dei soldi!

Il rischio, insomma, è quello che le proteste di questi giorni vengano strumentalizzate e che il mondo dei pastori cada, per l’ennesima volta, nelle trappole elettorali dei partiti italiani e dei loro intermediari sardi. Solo il tempo potrà far capire se questo rischio si concretizzerà o se la lotta dei pastori avrà la maturità per restare libera da condizionamenti esterni e strumentalizzazioni. Cosa possiamo fare noi da fuori? Sostenere, solidarizzare, e, perché no?, provare ad aprire altri fronti.

LA SFIDA DEI PASTORI, TRA NUOVE FORME DI LOTTA E PROSPETTIVE DI MOVIMENTO

Foto di Sardegnalive

Ieri ad Abbasanta, durante la protesta spontanea dei pastori contro il basso prezzo del latte, c’era un’assenza molto evidente. Mancavano le bandiere blu e gialle che, negli anni scorsi, hanno caratterizzato tutti i momenti di mobilitazione degli allevatori: quelle del Movimento Pastori Sardi. Non stiamo parlando di un’associazione di categoria di quelle che fa sempre il lavoro del pompiere, stiamo parlando di un gruppo che negli anni scorsi ha messo in campo una capacità di mobilitazione che talvolta è stata davvero impressionante. Ieri però l’MPS non c’era, la manifestazione che ha bloccato per ore la statale 131 all’altezza di Abbasanta è nata da una convocazione sviluppatasi sugli smartphone dei pastori nel tardo pomeriggio.  Al di là del significato di questa assenza, non si può negare che questo sia il dato politico più rilevante: ieri in Sardegna abbiamo avuto un assaggio diretto di cosa possano essere le mobilitazioni del XXI secolo. Sorprendenti – perché nessuno se l’aspettava, tantomeno le forze di polizia che in altre occasioni, quando cioè l’MPS minacciava i blocchi stradali, si facevano sempre trovare pronte – diffuse e spesso difficili da controllare per le organizzazioni tradizionali.

Su quei pastori rischia di calare la scure di una repressione giudiziaria e poliziesca che si è rafforzata con i provvedimenti di questo autunno targati Salvini. Questo ci permette di segnare un piccolo promemoria: la Lega è nemica dei sardi e del cambiamento della nostra isola in meglio. Ma ci costringe anche a fare una riflessione: dobbiamo fare di tutto perché la vicenda dei pastori non sia trattata come una semplice questione di ordine pubblico. Si tratta di una questione intrinsecamente politica, ma lo Stato italiano e i suoi servi isolani proveranno ad affrontarla con il codice penale. No. Non possiamo permetterlo. Altro che dispiacere per il latte versato, qua rischiamo di trovare persone con la vita rovinata da processi: persone che lottano per vedere riconosciuto un diritto fondamentale e assoluto, veder pagato il proprio lavoro a un prezzo degno. Come fare? La questione è la stessa di quando sfrattano gli occupanti da una casa o denunciano i lavoratori che fanno un picchetto o i cittadini che occupano un terreno per impedire una speculazione: bisogna politicizzarla. A nessun altro, se non ai pastori, spetta la parola su come portare avanti la lotta per un prezzo giusto del latte. Ma a tutti spetta la parola su come difenderli dall’attacco che fra poco arriverà, perché il loro problema è solo un aspetto di una grande questione più generale.

La questione è che la Sardegna è schiacciata da due enormi macigni: il rapporto coloniale con l’Italia e il capitalismo. Mentre in Europa crescono movimenti che mettono in discussione sia gli stati nazionali ottocenteschi che il capitalismo, qua siamo ancora al palo. In realtà qualcosa si muove, soprattutto sul piano culturale, ma i tempi rischiano di essere davvero stretti. Non è allarmismo: i dati macroeconomici e gli sviluppi della politica europea ed internazionale fanno temere una grossa crisi – politica in primo luogo – in tempi non troppo lunghi e noi rischiamo di essere impreparati.

Quindi ci sono due piani da prendere in considerazione per quanto riguarda le ultime mobilitazioni dei pastori sardi: il primo è quello della lotta dei lavoratori, che nessuno si deve permettere di sovradeterminare. Certo, la si può criticare quando lo si ritiene opportuno e la si deve sostenere, ma il principio deve essere che il modo in cui portare avanti la loro lotta lo decidono i pastori. L’altro piano è quello che ci interessa di più: se consideriamo la società come un campo attraversato da un’infinità di fratture, ogni volta che una si accentua, anche le altre diventano più sensibili. In parole povere, se la protesta dei pastori dovesse allargarsi e svilupparsi nei prossimi giorni, si aprirebbero degli spazi paralleli perché anche altre contraddizioni della società sarda vengano portate vicine al punto di rottura. Attenzione, sia chiaro che nessuno si augura che la questione del prezzo del latte non si risolva, così da alimentare la rabbia dei pastori: si deve risolvere immediatamente. Ma qualsiasi soluzione immediata sarà emergenziale, l’unica risposta strutturale è la duplice liberazione della Sardegna dalle catene coloniali e da quelle del capitalismo.

Ora, c’è un punto interrogativo enorme con cui dobbiamo fare i conti: la capacità di mobilitazione generale dei movimenti sociali sardi. Occupazione militare, contrazione del diritto alla salute, speculazioni energetiche, disoccupazione: le fratture ci sono, questo è fuori discussione, ma siamo in grado di allargarle?

La risposta non si può dare su due piedi, forse è un po’ come nel ciclismo, dove il corridore capisce la sua condizione fisica solo dopo che prova a forzare un po’ il proprio organismo.

ORISTANO: IL MERCATO È ANCORA CHIUSO, MA I CENTRI COMMERCIALI SPUNTANO COME FUNGHI

Fino agli anni Cinquanta il mercato di Oristano era nella sua piazza centrale, poi si decise che era meglio costruire un obbrobrio architettonico come il SO.TI.CO. Simbolo di una malcompresa volontà modernizzatrice che già, agli inizi del secolo, aveva portato alla distruzione della gran parte dei resti dell’architettura medievale cittadina, questa scelta racconta anche l’evoluzione di una città che ha lentamente, ma inesorabilmente, tagliato i ponti col suo circondario agricolo.

Il nuovo mercato, realizzato contemporaneamente in via Mazzini, è chiuso ormai da anni, per lavori di ristrutturazione che ormai sembrano destinati a durare ancora a lungo. Si lamentano i commercianti, relegati in una struttura più piccola, meno centrale e con meno comfort, e che riesce sempre di meno a reggere la concorrenza dei supermercati che stanno spuntando un po’ ovunque in città.

Già, perché il contraltare della svalorizzazione del mercato civico è la diffusione inaudita di

L’ingresso posteriore del mercato civico. Foto tratta dal sito del Comune di Oristano.

punti vendita della Grande Distribuzione Organizzata: è appena terminata la costruzione del nuovo centro commerciale di Pratz’e Bois, quando spunta fuori un progetto per una lottizzazione commerciale in via Vandalino Casu, verso Fenosu. Conosciamo bene il corollario che accompagna la nascita di questi spazi: contratti a termine, orari che non lasciano tempo libero ai dipendenti, aumento dell’inquinamento (tra imballaggi di plastica e necessità di trasportare le merci su gomma per lunghissimi tratti), devastazione del tessuto produttivo locale specializzato nell’agricoltura e nella produzione alimentare.

C’è una bella differenza tra il commercio fatto dalla GDO, che punta esclusivamnte al profitto, e quello dei negozi di piccola e media dimensione, a gestione locale. In questa condizione perdurante di crisi economica, pensiamo sia assurdo pretendere che i cittadini autoregolino eticamente le proprie scelte di acquisto. Le istituzioni devono sostenere i piccoli produttori, i mercati e piccoli e medi negozi e, ovviamente, i cittadini che, altrimenti, non potranno fare altro che andare a comprare dove i prezzi sono più bassi. Questa situazione è influenzata dalle azioni praticabili su più piani politici, dal livello globale fino a quello locale. Per questo pensiamo che anche le amministrazioni comunali possano lavorare in questa direzione. Certamente non lo hanno fatto le ultime due amministrazioni oristanesi, quella di centrosinistra e quella di centrodestra, la prima troppo occupata a sostenere progetti speculativi esterni come il termodinamico di San Quirico e il campo da golf di Torregrande, la seconda impantanata in un’inattività amministrativa che dura ormai da un anno e mezzo.

Sbloccare la situazione del mercato civico è un’esigenza fondamentale della città, ma serve anche altro. Serve la volontà di costruire una vera rete con il circondario, di smetterla di puntare alla creazione di posti di lavoro precari e di pensare piuttosto alla costruzione di un reale modello alternativo a quello odierno. Oristano ha il 44% di disoccupazione giovanile, non saranno 100 posti in un albergo o 15 in un nuovo supermercato a invertire la rotta di una città che va spedita verso l’autodistruzione. Serve un programma di valorizzazione e difesa del territorio, capace di costruire una ricchezza collettiva che sia in armonia con l’ambiente e con i diritti sociali.