Dall’apriscatole alla casta

Sicuramente il dibattito scientifico l’avrà superata da parecchio, ma la legge ferrea dell’oligarchia formulata agli inizi del Novecento dal sociologo tedesco Robert Michels, continua ad avere una potenzialità predittiva interessante. In sostanza, non ce ne vogliano i sociologi per la semplificazione, l’idea di Michels era questa: qualsiasi organizzazione politica dopo un po’ di tempo trasforma i propri mezzi, nei propri fini. In altre parole, lui si riferiva alla SPD tedesca, gli obiettivi ideologici lasciano sempre più spazio agli obiettivi pragmatici della perpetuazione, a tutti i costi, della propria esistenza.

L’ultima vittima, in ordine di tempo, è il Movimento 5 Stelle, che dall’apriscatole è passato in pochi anni al riempipoltrone. Ve li ricordate i tempi della scatoletta di tonno? Finiti. E il balletto col Partito Democratico sulle nomine nelle principali società pubbliche è l’acme di un percorso che va avanti da tempo. Il Movimento viene dato dagli ultimi sondaggi sotto il 15%. Sanno che la fine si sta avvicinando, così – complice anche il rischio sempre più concreto di una crisi di governo – la sua fazione governativa ha dato un’accelerazione alle procedure per lo spoil system all’interno dei colossi dell’industria pubblica italiana, quando il buon senso avrebbe consigliato – in una situazione di provvisoria sospensione di molti istituti della democrazia partecipativa – di rimandare l’operazione. Il prezzo è l’acuirsi delle tensioni interne, con il ritorno in grande stile di Di Battista, che guarda a destra e propone una nuova collocazione internazionale per l’Italia, al fianco della Cina in rottura non solo con gli USA, ma anche con l’Unione Europea.

Intendiamoci, che le forze dell’establishment prestino molta attenzione alla nomina dei vertici di società dai fatturati miliardari e dal valore strategico importante è cosa ovvia. Discutibile, per chi come noi contesta il modello capitalista di sviluppo, ma ovvia. Si parla di colossi dell’energia inquinante come ENI o di aziende che occupano settori chiave della filiera industriale bellica, come Leonardo (ex Finmeccanica) o Fincantieri. Ed è qui che il Movimento 5 Stelle vuole, come tutti gli altri partiti, pescare a piene mani. Perché gestire i posti di potere lì dentro, significa avere una influenza molto forte sulla politica italiana, anche a fronte di una diminuzione dei consensi elettorali e della marginalità autoimpostasi dal M5S con la propria incapacità. Quello stesso Movimento che fino a qualche anno fa proclamava di voler cambiare l’Italia, oggi punta a nominare la presidenza dell’ENI. Alla faccia dell’ambientalismo delle origini, oggi si punta ai modelli fondati sulla predazione degli idrocarburi nei paesi del Sud e a gestire la transizione, inevitabile, verso l’energia verde nel segno della continuità con i modelli economici che abbiamo conosciuto fino ad oggi. Strapotere dei colossi e attenzione ai profitti.

Lasciando da parte la girandola delle nomine, in realtà c’è poco da stupirsi. Si tratta dello stesso Movimento 5 Stelle che, in Sardegna, ha fatto fuori Roberto Cotti in favore dell’onorevole Emanuela Corda. In pratica il Movimento 5 Stellette, che è passato dall’avere un parlamentare attivo nella lotta contro le basi, ad averne una che ci spiega quanto siano importanti per la Sardegna e quanto sia necessario che ci adeguiamo alle esigenze dei nostri ospiti militari. Dello stesso movimento che a Taranto è passato dalla difesa del diritto alla salute, alla difesa del diritto al profitto di ILVA.

Insomma, ce lo aspettavamo già. In fondo è solo la semplice conferma del fatto che, senza una prospettiva globale di mutamento sociale rivoluzionario, si finisce per diventare casta.

dp