Luciano Marroccu e l’invenzione della tradizione.

L'attacco all'indipendentismo sardo di Marroccu in realtà non è 
altro che una manifestazione di nazionalismo italiano

Sulla Nuova Sardegna del 22 ottobre è uscito un articolo di storia sarda che è molto interessante analizzare. Reca la firma del contemporaneista, professore ordinario dell’Università di Cagliari e già assessore alla cultura di centrosinistra della Provincia di Cagliari, Luciano Marroccu.

Il professore cagliaritano prende spunto dai recenti fatti catalani per assestare un bell’attacco all’indipendentismo sardo. Attacco a tutto tondo, sbrigativo in realtà, dal momento che non tiene conto del fatto che il fenomeno etnoregionalista in Sardegna ha un livello di dibattito interno abbastanza avanzato e che dunque attaccare l’uno significa talvolta sposare le opinioni di un altro. Marroccu parte da un presupposto superato da tempo, forse ha scarsa dimestichezza con le ultime pubblicazioni in ambito politologico sul tema dell’etnoregionalismo, forse, in quanto storico, vede una rilevanza della storia nelle rivendicazioni nazionaliste più grande di quanto in realtà sia. Egli in effetti riconosce che la giustificazione storica del nazionalismo non è sempre presente nei movimenti nazionalisti, ma poi, quando passa alla parte più polposa del suo articolo, procede ad un tentativo di smontaggio dell’indipendentismo sardo fondato solo su basi storiografiche, o supposte tali. «Può infatti capitare che esplorando la propria storia si facciano scoperte imbarazzanti. Che la nazione in questione non ha radici millenarie, come forse si immaginava, e che la sua storia è alla fine troppo complessa e non sono tutto trasparenti i suoi significati simbolici». Così dice Marroccu, ma ad essere schietti il professore sta scoprendo l’acqua calda. La semplificazione e la mitizzazione del passato, o invenzione della tradizione secondo la terminologia di Hobsbawm, sono un fenomeno comune a ogni forma di nazionalismo politico. Può essere dannoso, ma non lo è necessariamente, dipende per esempio dai fini che un movimento nazionalista si pone. Dannosa è, senz’ombra di dubbio, l’invenzione dell’italianità di Istria e Dalmazia, dal momento che il fine è quello di foraggiare il revanscismo slavofobo e che la storia contemporanea italiana porta parecchi esempi dei danni che questo falso storico ha comportato. Molto meno dannoso è un processo di mitizzazione di figure come Eleonora d’Arborea o Leonardo Alagon, perché il fine politico di chi porta avanti queste semplificazioni storiche è quello di creare un sentimento di unità popolare, non di invocare il massacro degli Aragonesi o l’espulsione dei catalani da Alghero. E si badi bene che si tratta di fenomeni politici, o della cultura popolare. Non si può pretendere che un intero popolo abbia un livello accademico di conoscenza della storia, ma si può trovare un buon compromesso grazie a una buona divulgazione scientifica.

Ciò che sorprende, e in parte irrita, è che Marroccu dedichi attenzione a smontare delle rielaborazioni mitiche delle quali non cita né gli autori-fruitori, cioè quei soggetti che le costruiscono e se ne avvantaggiano, e tutto sommato inoffensive. Ogni nazione si è formata attraverso fenomeni di questo tipo. Dire: «Eleonora d’Arborea, nata in Catalogna, si battè per i diritti e i privilegi della sua casata, in un quadro culturale e istituzionale in cui viene difficile ambientare una lotta a sfondo nazionale» ha senso in un quadro accademico, un po’ meno in un articolo giornalistico rivolto a un pubblico generalista. Questo perché al pubblico generalista mancano i fondamenti di conoscenza dela storia medievale europea, che gli permetterebbero di inquadrare questa frase, di per sé non falsa, nel giusto contesto. Detta così sembra che sia un caso particolare, che invece quei soggetti nazionali giunti al completamento del processo di formazione statuale possano vantare nella loro storia sovrani che effettivamente svolsero il ruolo di fondatori della nazione. Nel Medioevo, epoca in cui germogliano i primi semi dei legami etnici che daranno poi origine ai gruppi nazionali, nessun sovrano svolgeva lotte a sfondo nazionale, tutti i sovrani agivano per scopi dinastici. I sovrani della casata Bas Serra si inseriscono pienamente in questo contesto. E però bisogna stare attenti, perché la storia non è una foto in bianco e nero, ma una foto a colori dai bordi sfumati e nella politica di Eleonora gli elementi proto-nazionalistici non mancano, soprattutto nella propaganda di guerra e nelle scelte linguistiche. La questione è molto più complessa rispetto a come la presenta Marroccu, anche senza entrare nel merito di quelli che erano i pensieri di Eleonora d’Arborea o dei soldati semplici che furono massacrati dagli aragonesi nella piana di Sanluri, senza chiederci, cioè, se essi avevano in mente almeno un abbozzo del concetto di nazione sarda. Il fatto che conta è la reinterpretazione dei fatti storici, e bisogna distinguere almeno due casi: quello in cui il gruppo etnico ha avuto successo sia nel processo di state building, e quello in cui ha fallito. Se la retorica della reconquista ha avuto successo è perché la Castiglia è riuscita nel processo di formazione dello Stato; in Sardegna questo non è accaduto perché 1409 fu uno spartiacque, che non interruppe – ma certo rallentò – il processo di costruzione nazionale, ma bloccò quelo di creazione dello stato. Ma sullo sfondo la situazione resta la stessa: fenomeni storico-politici di natura medievale, che perdono di senso fuori da quel contesto, vengono reinterpretati nei secoli successivi allo scopo di favorire il processo di costruzione nazionale e statuale. Marroccu se la prende col caso sardo, ma si sognerebbe mai di pubblicare un editoriale in cui scrive che la creazione dell’unità politica della penisola iberica fu solo un processo di scontro fra diverse regioni/regni, dal quale emerse un centro vincitore, cioè la Castiglia con la sua capitale inventata per essere il centro geometrico della penisola, Madrid? Perché d’altra parte spesso la storia è solo uno dei mille modi possibili in cui sarebbe potuta andare: verso la metà del 1600, contemporaneamente, Catalogna e Portogallo, unite sotto la corona asburgica di Filippo IV, si ribellarono. I portoghesi riuscirono, e oggi sono uno stato del quale nessuno si sogna di mettere in dubbio l’indipendenza, i catalani no. Il dubbio che viene è che Marroccu, ma non è solo, sia vittima di un tipico caso di etnocentrismo per cui ciò che avviene nel proprio sistema culturale di riferimento, in questo caso l’Italia, sia un fatto naturale, mentre quello che avviene al di fuori è una costruzione socio-antropologica da smontare.

Non sarebbe un problema se la cultura popolare sarda e la divulgazione storica nelle scuole o sui media fossero infestate da ben più gravi narrazioni tossiche. Insomma, quanto è sciocco prendersela con eventuali mitizzazioni della figura di Eleonora d’Arborea, quando a scuola ti insegnano che l’Unità d’Italia era già presente in nuce nella storia dell’Impero Romano, che Dante è stato un precursore del Risorgimento o che la Grande Guerra fu la quarta guerra d’indipendenza italiana, il culmine del processo risorgimentale? Queste sono mistificazioni storiche ben radicate persino in ambito accademico, oltre che onnipresenti nella divulgazione, e hanno uno scopo ben preciso, cioè la costruzione – che sì, nel caso italiano è ancora incompleta – del concetto di nazione italiana. E così, mentre Marroccu smonta quelle che per lui sono le basi storiografiche dell’indipendentismo sardo – il che è una sua supposizione però, dato che non ci dice quali sarebbero i movimenti e gli intellettuali indipendentisti che fondano la propria opinione su ragioni storiche e non tanto su un’analisi della condizione presente recente dell’isola – poi presenta come fatto naturale, e non come parallela reinvenzione del passato, il patriottismo costituzionale italiano: «Riconoscere la natura per così dire artificiale delle ideologie nazionali, prima di tutto di quella nell’orbita della quale siamo cresciuti, conoscerne la storia con le sue complicazioni e i suoi passi falsi, rappresenta non solo un salutare momento di autocoscienza ma anche un antidoto contro l’intolleranza. Un modo inoltre per ricordarci che ciò che ci rende comunità nazionale sono certo gli inni e le bandiere ma ancora di più le leggi. E che sono le leggi, in primis quella fondamentale, la Costituzione, che danno un senso e una direzione al nostro stare insieme». In queste poche frasi Marroccu esprime una lunga serie di concetti contestabili. Intanto raffigura il mondo come vorrebbe che fosse, ma non come è. Perché il sentimento di appartenenza nazionale non è mai qualcosa di completamente razionale, uno si sente italiano o sardo – o italiano e sardo – ma non può spiegare compiutamente il perché. Ugualmente superficiale è l’equazione ‘nazionalismo = intolleranza’; i movimenti etnoregionalisti europei (ossia quelli facenti riferimento a nazioni senza stato), tolte pochissime eccezioni come il Vlaams Blok – partito nazionalista fiammingo di estrema destra – e a fasi alterne la Lega Nord – non perché non sia sempre stata razzista, ma perché non sempre è stata etnoregionalista – sono stati tutti partiti moderati o di sinistra – con un processo generale di spostamento da sinistra al centro. Infine l’ultima frase fa riferimento a una forma di invenzione della tradizione che sta alla base del patriottismo italiano di sinistra, la retorica della costituzione più bella del mondo. Tralasciando il fatto che è impossibile organizzare un concorso di bellezza per le costituzioni, quella italiana nasce da un compromesso fra le forze antifasciste ed è il frutto della contrattazione politica, non l’espressione dello spirito nazionale italiano, ammesso che ne esista uno. E tale contrattazione è stata spesso al ribasso, senza considerare che il fondamento costituzionale stesso, cioè l’unità antifascista, è stato ben presto tradito dalle stesse forze politiche che gli avevano dato origine. Insomma, qual è la differenza fra chi esalta supposti afflati nazionalistici nella politica del giudicato di Arborea e chi dice che la costituzione italiana è il fulcro del sentimento nazionale? Adottando lo stesso metodo di Marroccu possiamo dire che la costituzione è un atto politico, e come tutti gli atti politici è il frutto di una negoziazione fra varie componenti dell’unità antifascista e che tutta la retorica successiva, non è altro, appunto, che retorica che mistifica la verità storica allo scopo di costruire un sentimento di appartenenza più forte.

cfr