LE GIORNATE STORICHE PER LA CATALOGNA

[Riceviamo e pubblichiamo volentieri il contributo di un giovane oristanese a Barcellona]

Tutti abbiamo visto le violenze della polizia nazionale in occasione del referendum del primo ottobre, nel quale i catalani erano chiamati ad esprimere la loro opinione sull’indipendenza della propria regione. Erano diversi anni che in Europa non si vedeva questa crudeltà esercitata delle forze dell’ordine, probabilmente le immagini del G8 di Genova sono comparabili a quanto visto in questi giorni in Catalogna. Volti sanguinanti di giovani e anziani scorrono nei video e nelle foto dando l’impressione di un intervento feroce della polizia nei collegi elettorali. Si parla di oltre ottocento feriti, tra cui alcuni gravi, e un morto di infarto a Lleida, una città vicino a Barcellona, durante lo sgombero di un seggio. Un bilancio tremendo e ingiustificato data la repressione sicuramente non proporzionale alla “minaccia” rappresentata da diversi milioni di elettori chiamati alle urne dal Governo catalano per dire Sì o No al definitivo distacco dalla Spagna.

Per comprendere come mai il referendum rappresentasse una minaccia per le forze di polizia nazionali incaricate di impedire il suo svolgimento è necessario fare un passo indietro. La storia della Catalogna è molto antica, generalmente si fa riferimento al suo regno che nel tardo medioevo si unì al più noto Regno Aragonese il quale, dopo una serie di conflitti per la successione al trono, venne unificato al Regno di Castiglia formando così i confini della Spagna come li conosciamo. In anni più recenti, si possono ricordare le varie repressioni del dittatore Francisco Franco contro la cultura catalana: a cominciare dalla lingua, qualsiasi espressione regionalista che aveva mantenuto un valore prima della dittatura veniva annullata. Alla conquista della democrazia, la Regione autonoma della Catalogna è parte della monarchia costituzionale spagnola istituita formalmente dalla Costituzione del 1978, la stessa che al suo secondo articolo sancisce l’indivisibilità dello Stato.

Un indipendentismo silente fino ai primi anni Duemila non aveva una effettiva rappresentazione politica a livello locale ed ancor meno a livello centrale. Tuttavia già all’inizio degli anni Novanta, con la XXV olimpiade tenutasi a Barcellona, la Catalogna rappresentava una realtà economica che rivendicava delle origini culturali differenti rispetto al resto della Spagna. Nel 2006 questa rivendicazione sfocia in un accordo col governo centrale che si concreta nello Statuto dell’autonomia in cui si parla espressamente di nazione catalana e di autogoverno. In sostanza si pone in essere uno Statuto che dà il via ad un rafforzamento culturale dei valori regionali e che permette ai catalani di vedere affermate le proprie qualità di popolo della nazione catalana.

È sicuramente questo lungo e paziente processo di egemonia culturale catalana rispetto a quella spagnola a far emergere nella regione la volontà di procedere verso l’indipendenza. La necessità di autodeterminazione come popolo nazionale sorge quindi in primo luogo dalle differenze culturali con il resto del Paese e, in maniera del tutto lecita, viene portata avanti dalle istituzioni locali con i crescenti proventi di un’economia in salute.

La volontà dei partiti di ottenere maggiore autonomia e progressivamente l’indipendenza è sempre stata contrastante: le forze di centrodestra sono contrarie, quelle di centrosinistra scettiche e quelle dell’ala indipendentista e di sinistra radicale favorevoli. Già nel 2014 c’era stata infatti una consultazione referendaria che già a suo tempo aveva affermato la richiesta di indipendenza (seppur con una partecipazione inferiore al 35%) ma che non aveva avuto risvolti significativi. La recente creazione di una coalizione partitica (Junts pel sì) abbastanza eterogenea, che sostiene l’opzione separatista e che ha raggiunto nelle elezione regionali del 2015 la maggioranza nel parlamento catalano, è stata la chiave di svolta. Con un presidente e una squadra di governo determinati nella causa indipendentista si è arrivati al voto della camera regionale che ha indetto il presente referendum con la netta contrarietà del PSOE (socialisti) e PP (popolari) e con l’astensione di Podemos, movimento emergente legato alla sinistra radicale.

La legge istitutiva votata dal parlamento locale è stata subito sospesa dalla Corte Costituzionale per l’evidente incostituzionalità dei suoi assunti, che violano l’art.2 della Costituzione in merito all’indivisibilità della Spagna. Questo intervento ha di per sé reso illegale non solo l’organizzazione del referendum ma anche qualsiasi risultato scaturente dalla votazione. L’arresto di alcuni esponenti delle istituzioni politiche catalane nel corso delle ultime settimane non ha reso il clima più sereno, aggravato ancora di più dopo l’invio in Catalogna di migliaia di agenti delle forze dell’ordine da parte del governo di Mariano Rajoy.

Nonostante la tensione fra istituzioni centrali e locali, fino al giorno precedente al voto nessuno poteva prevedere le scene raccontate dalle emittenti giornalistiche di tutto il mondo. Già sabato (30 settembre) un corteo di migliaia di persone contrarie al referendum e sostenitori del No, con le bandiere spagnole e dell’Europa, sfilava per le vie principali di Barcellona senza alcun problema inneggiando all’indivisibilità dello Stato. Domenica una presenza massiccia di polizia nazionale, che talvolta si è scrontata con i pompieri e la polizia locale (accusata di sedizione) a difesa dei votanti, faceva presagire un altro clima: i tafferugli, nei quali la popolazione inerme è stata picchiata e sgomberata dai seggi, si sono maggiormente riscontrati in alcuni centri della regione. A Barcellona gruppi di centinaia di persone per ogni collegio elettorale, organizzatisi in comitati di difesa, hanno presidiato e reso possibile le votazioni. Solo in alcuni casi l’irruzione degli agenti di polizia ha portato a violenze e al sequestro delle schede elettorali con la forza. Lunedì scorso in una calma apparente si è reso noto l’esito: con una affluenza seppur ridotta (non molto più bassa di qualsiasi elezione politica di un Paese occidentale) del 42%, motivata anche dalle intimidazioni e delle violenze della polizia che ha spinto molti sostenitori a non votare, il 90% dei votanti si è espresso favorevolmente all’indipendenza. Martedì lo sciopero generale delle principali sigle sindacali catalane ha bloccato la città: quasi ogni negozio e ufficio pubblico, compresa la metropolitana, è rimasto chiuso tutto il giorno; circa un milione di manifestanti pacifici e festosi ha invaso le strade di Barcellona per protestare contro le violenze e affermare la propria volontà di indipendenza rendendo finalmente effettivo l’esito del referendum. I comunicati del presidente Rajoy e del re Filippo VI non fanno sperare in un percorso verso questa direzione. Nella sua ferma posizione il governo catalano, nella persona del presidente Puigdemont, approverà una legge per mettere in pratica le tappe che portano all’indipendenza. L’esecutivo locale ha bisogno di dare una risposta ai cittadini che hanno votato favorevolmente all’indipendenza ed è per questo incentivato a collaborare con il governo Rajoy, il quale appare invece reticente. Le manifestazioni degli ultimi giorni, quelle delle migliaia di persone vestite di bianco in segno di pace, sostengono l’esigenza di una soluzione cooperativa per la quale c’è però bisogno della volontà di entrambe le parti e da Madrid, per il momento, non è stata dimostrata questa disponibilità. In un braccio di ferro politico che non lascia presagire un dialogo civile, le istituzioni europee restano a guardare nonostante gli appelli dell’esecutivo catalano a considerare la loro richiesta coincidente con il diritto all’autodeterminazione dei popoli, già applicato nel caso del Kosovo.

La riflessione che sorge dalla presentazione dei fatti non può che partire dall’evidenza: la violenza utilizzata dalla polizia nazionale è fuori da ogni limite di proporzionalità e può rappresentare un illecito internazionale; la comunque carente volontà alla cooperazione dimostrata a livello locale non è sicuramente comparabile all’ostinazione delle istituzioni centrali a negare il dialogo che aggrava la crisi regionale; la libertà di esprimere la propria opinione attraverso un voto, per quanto illegale ne sia il risultato, non può essere soppressa così brutalmente in un paese democratico.

Democrazia e libertà erano messe in gioco durante il referendum, quelle di un popolo che da anni si propone di rendersi indipendente non per egoismi economici ma per l’aver preso coscienza della propria diversità culturale che la Costituzione mononazionale spagnola non garantisce. Sotto lo scudo delle leggi costituenti e quindi dell’ordine già da tempo costituito, lo Stato mono-nazionale europeo affronta i regionalismi che proprio grazie all’Europa si sono sviluppati. Le politiche comunitarie rivolte agli attori politici locali hanno avuto migliore efficacia negli ultimi vent’anni rispetto a quelle verso gli Stati, baluardi dell’austerità e della crescita a tutti i costi. Ed è così che sentirsi europei e indipendentisti verso la propria regione è un modus pensandi perfettamente realizzabile (si veda il caso della Scozia), ciò è ancor più vero in quei contesti locali dove il sentimento identitario ha raggiunto dal punto di vista culturale un valore fondamentale. La questione economica è fuor di dubbio rilevante in alcuni regionalismi, ma soprattutto in Catalogna la partecipazione ampia della popolazione alle dimostrazioni degli ultimi anni (in un’epoca globalizzata di scarso coinvolgimento politico delle persone) sembra davvero essere una richiesta democratica e pacifica che, se non sarà presa in considerazione nel breve periodo, può diventare radicale e pericolosa per la stabilità della Spagna. I cittadini per le strade non chiedono il federalismo fiscale, o quantomeno non esclusivamente, piuttosto chiedono che la loro volontà di rendersi indipendenti venga rispettata o che comunque porti ad un dialogo proficuo come non lo è stato negli ultimi anni. Un dialogo che deve essere ripreso senza violenze e intimidazioni, ben considerando che le richieste della maggioranza dei catalani rappresentata nel parlamento locale non fermerà le sue richieste già vive e valide molto tempo prima dei fatti del primo ottobre.

In Spagna quindi, ci troviamo davanti alla crisi dello Stato nazione e all’avanzare di un regionalismo democratico stimolato da un forte sentimento culturale identitario e da una partecipazione collettiva inaspettata. A risolvere questa situazione è fondamentale che le istituzioni sovranazionali intervengano per rispondere alla richiesta, sorta in queste giornate storiche per la Catalogna, a favore dell’autodeterminazione di un popolo libero e democratico.

Emanuele Pinna Massa