Pigliaru traballa, soffiamo tutti insieme

Mettere coscientemente da parte le differenze e costruire un momento
pubblico di opposizione sociale alla giunta Pigliaru: questo il 
compito dei movimenti nell'ultimo anno e mezzo di governo regionale
del centrosinistra. I partiti indipendentisti pensino alle elezioni,
i movimenti pensino a organizzare l'opposizione sociale.

Il presidente Francesco Pigliaru è in un momento di grave difficoltà politica. Anche se le veline regionali non lo danno a vedere, la situazione nel confronto con il governo ha ufficializzato la posizione della giunta dei professori come peggior governo della storia autonomista. Tre le questioni in campo e il fallimento c’è su tutti i fronti. Si parlava di agenzia sarda delle entrate, di accantonamenti – cioè la somma dell’introito regionale che deve essere destinata al ripianamento del debito pubblico italiano – e di servitù militari e Gentiloni ha fatto lo gnorri su tutti i fronti: «Ci serve tempo per dare una risposta». Unica rassicurazione l’appoggio alla Sardegna per il riconoscimento in Europa della condizione di insularità: insomma un impegno a costo zero, tutto sommato inutile e che perpetua l’immagine di una Sardegna che per andare avanti ha bisogno di assistenza e aiuti da altre realtà, che in cambio possono utilizzarla per farci quello che vogliono. Patetiche le reazioni del Pd, che cerca di salvare sia la facciata autonomista sia il retrobottega sottomesso agli interessi romani. Ciò che emerge chiaramente da questi quattro anni di governo della coalizione Pd-Pds-altrepiccoleforzesovraniste, egemonizzata dal blocco giuridico-economico dei professori dell’Università di Cagliari, è la sensazione di un fallimento totale. La Sardegna è una regione in crisi, checché vogliano farci credere le inutili ventate di ottimismo sponsorizzate da certi mezzi di informazione, e la sua classe dirigente è assolutamente incapace non tanto di sbattere i pugni sul tavolo, quanto solo di pensare di poterlo fare. Il Pd, che in Sardegna non è altro che l’aggregazione della rete di potere di singoli personaggi politici, è in questa fase il principale nemico della Sardegna e delle sue aspirazioni ad un futuro migliore. Probabilmente il centrosinistra italiano verrà spazzato via alle elezioni del 2019, che – comunque vadano – porteranno al potere una forza politica minoritaria e incapace di rappresentare gli interessi dei sardi, grazie a una legge elettorale indegna e antidemocratica, ma gli resta ancora un anno e mezzo di governo, cioè un tempo sufficiente a fare ancora molti danni. Perché oltre a quelle questioni ce n’è altre: c’è il pasticcio della sanità, c’è il declino inesorabile dei due poli universitari esclusi dai finanziamenti ministeriali, c’è la questione delle scorie nucleari, c’è la continuità territoriale e mille altre ancora.

Le forze indipendentiste si confrontano da mesi per trovare un accordo che gli permetta di partecipare unite alle elezioni e preparandole bene potrebbe essere il momento del boom. Sono dinamiche di partiti, ma tutta quella parte della politica che partito non è, che alle elezioni non parteciperà direttamente e che tuttavia si impegna quotidianamente nelle lotte per un futuro migliore, cosa deve fare? Siamo fortemente convinti che la piazza debba fare la piazza.

Quello che manca a Pigliaru è il fiato sul collo di un popolo attento che, giunti a questo punto, non può fare altro che mettere chiaramente in campo la totale assenza di legittimazione, tra i sardi, di questa giunta. Le decine di vertenze di questa terra dovrebbero unirsi e convocare un momento pubblico di opposizione sociale alla giunta. Giustamente ognuno ha le sue battaglie particolari, ma esse rientrano in un quadro politico generale ed in quel quadro non bisogna dimenticarsi di agire, tenendo presente che l’unione fa la forza. Tutto questo, sembrerà assurdo il paragone ma è così, può accadere solo ispirandosi ad un principio di mobilitazione sul modello delle chiese protestanti nordamericane nel ‘700, collaborazione e coordinamento aldilà delle denominazioni particolari di ogni gruppo, trovando l’accordo su pochi punti fondamentali e scelti appositamente per limitare il più possibile gli attriti. Fare la piazza si diceva, quindi non serve preparare nel dettaglio le soluzioni politiche, i consiglieri regionali e gli assessori sono pagati per quello. Bisogna protestare, mettere in chiaro che il modello attuale è dannoso, e costringere quegli undici a mettersi d’accordo e costruire una proposta intelligente per la Sardegna e per il nostro futuro.