LIBERIAMOCI DAL LAVORO NERO NELLE CAMPAGNE!

A breve e per tutta l’estate le campagne dei paesi della provincia di Oristano e di tutta la Sardegna torneranno a riempirsi di quel bracciantato agricolo occasionale formato da ragazzi e ragazze, immigrati, uomini e donne di ogni età che attendono questo periodo per riuscire a guadagnarsi col sudore qualche decina di euro al giorno e aumentare come si può il proprio potere d’acquisto.

Rivedremo, insomma, come ogni estate un “piccolo” esercito di lavoratori in nero, organizzato dalla grande maggioranza dei proprietari terrieri che assumeranno lavoratori in nero e sfrutteranno la manodopera, spesso anche minorile, il tutto ovviamente ampiamente tollerato dalle comunità, dagli amministratori locali, dagli apparati repressivi dello stato e da quanti hanno il compito di controllare che nei luoghi di lavoro tutto proceda nella legalità.

Tutto è tollerato perchè così è sempre stato e neanche si pensa possa essere diversamente tanto è consolidata la prassi.
Il tutto per la felicità dei proprietari terrieri e dei loro profitti nella illegalità fiscale, i quali hanno anche il privilegio di essere visti come dei benefattori da ringraziare perchè offrono lavoro e nello stesso tempo pagare i lavoratori a cottimo con 1€ per ogni cassetta di pomodori riempita e una media di 5€ a ora per quasi tutte le altre attività (raccolta di angurie, meloni, la vendemmia a tempo debito, etc.).

A noi le prassi, soprattutto quelle svolte sulla pelle dei lavoratori, piacerebbe rivoltarle.

C’è un decreto legislativo, il n.276 del 2003, meglio noto come legge Biagi che è stato una forte accelerazione contro i diritti dei lavoratori, un inno alla precarietà lavorativa, faro illuminante per tutti i governi successivi (non ultimo il criminale job act di Renzi) ma che nei suoi 85 articoli un qualcosa di “positivo” ce lo lascia o almeno negli intenti ufficiali. La legge Biagi ha creato un supermercato del lavoro, una miriade di tipologie contrattuali che se da un lato, alcune, servivano per far emergere e formalizzare determinate attività lavorative (vedi quella dei lavori stagionali nelle campagne), dall’altra sono sempre state usate (se sono state usate) dal padronato in sostituzione di contratti di lavoro subordinato e quindi con la funzione di privare i lavoratori di tutte le tutele del caso.

La tipologia che ci interessa in questo caso, utile a far emergere il lavoro nero e lo sfruttamento presente nelle nostre campagne e regolarizzarlo, è il cosidetto lavoro accessorio e occasionale introdotto dagli articoli 70-73 della stessa legge, più volti modificati fino alla versione attuale voluta dal ministro Fornero con la legge n.92/2012 e poi con il decreto lavoro del 2013, quel tipo di lavoro che viene pagato, per intenderci, attravero i voucher o buoni orari.

Vediamo di che si tratta, analizzandone soprattutto il suo utilizzo nel contesto delle attività agricole.

-La definizione ce la fornisce il 1° comma dell’art.70:
per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti (datori di lavoro), a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare, annualmente rivalutati sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente (la variazione dell’indice ISTAT corrisponde, per il 2014, a 6.740€ lordi e 5.050€ netti.). […]

Per poter accedere al lavoro accessorio vi è quindi un limite economico che è quello di 5.000€, compenso massimo che il lavoratore può ottenere attraverso questa tipologia contrattuale con riferimento a tutti i datori di lavoro e il limite di 2.000€ con riferimento a ciascun singolo datore di lavoro ; quindi io lavoratore posso lavorare sia con Tizio che con Caio e anche con Sempronio ma in un anno non posso ricevere più di 5.000€ da tutti e tre i datori messi assieme e da nessuno posso ricevere più di 2.000€.

-Il 2° comma si occupa del ricorso al lavoro accessorio in agricoltura (che viene inteso come un settore specifico nel quale continuare a imporre dei limiti soggettivi dato che il ricorso ai buoni lavoro stava andando a sostituire il lavoro propriamente subordinato) e ci dice che esso si applica:
a) alle attività lavorative di natura occasionale rese nell’ambito delle attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati e da giovani con meno di venticinque anni di età se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici, oppure in qualunque periodo dell’anno se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l’università
b) alle attività agricole svolte a favore di soggetti di cui all’articolo 34, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, che non possono, tuttavia, essere svolte da soggetti iscritti l’anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli.

Abbiamo detto che quello agricolo è inteso come un settore specifico, infatti lo stesso decreto dice che quando il datore di lavoro è un imprenditore commerciale o un professionista il massimo che un lavoratore può ricereve è 2.000€; vi è appunto una deroga per il settore agricolo secondo cui per qualunque imprenditore agricolo il tetto massimo è fissato a 5.000€ quando il lavoratore è uno dei soggetti descritti nella lettera a), mentre a prescidere da chi sia il lavoratore il tetto è sempre di 5.000€ quando i datori di lavoro siano i soggetti descritti nella lettera b) e cioè quei produttori agricoli che nell’anno solare precedente hanno realizzato o, in caso di inizio attività, prevedono realizzare un volume d’affari non superiore a 7.000€, costituito per almeno due terzi da cessione di prodotti.

-L’art. 72 detta la disciplina del lavoro accessorio e dell’utilizzo dei voucher:
Per ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio, i beneficiari (datori di lavoro) acquistano presso le rivendite autorizzate uno o più carnet di buoni orari, numerati progressivamente e datati, per prestazioni di lavoro accessorio il cui valore nominale è fissato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottarsi entro trenta giorni e periodicamente aggiornato, tenuto conto delle risultanze istruttorie del confronto con le parti sociali. (comma 1)
Il prestatore di lavoro accessorio percepisce il proprio compenso presso il concessionario, di cui al comma 5, all’atto della restituzione dei buoni ricevuti dal beneficiario della prestazione di lavoro accessorio. Tale compenso è esente da qualsiasi imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato del prestatore di lavoro accessorio. (comma 3)

Tradotto: il datore di lavoro acquista nelle rivendite autorizzate (sedi INPS, tabaccherie, banche, poste) i buoni orari il cui valore nominale è attualmente fissato a 10€, corrispondente a un’ora di lavoro; il datore di lavoro, come prevede la circolare 177/13 dell’INPS, prima della prestazione lavorativa deve comunicare all’INPS e solo per via telematica la comunicazione di inizio attività, “indicando i dati anagrafici ed il codice fiscale propri e del lavoratore, il luogo di svolgimento della prestazione ed il periodo presunto di attività”.

Il datore di lavoro paga il lavoratore consegnandoli i buoni orario e spetterà al lavoratore stesso andare dal concessionario (INPS, banche, poste, tabaccai) per riscuotere i soldi spettanti; il lavoratore non riceverà esattamente 10€ bensì 7,50€ perché il 13% verrà versato per fini previdenziali all’INPS, il 7% per fini assicurativi all’INAIL e il 5% è trattenuto dal concessionario come prevede il comma 4 dell’art.72.

Bisogna creare una nuova cultura nelle campagne, combattere il lavoro nero e sottopagato con tutti i mezzi.

Le istituzioni e le amministrazioni devono farsi carico di diffondere pratiche atte a debellare l’attuale situazione per esempio promuovendo tra i proprietari terrieri l’utilizzo del lavoro accessorio e occasionale che tra le altre cose restituisce dignità salariale a un duro lavoro come è quello svolto nelle campagne.

Nessuna crisi economica, in nessun ambito lavorativo, può annientare i diritti dei lavoratori.

(M.C.)