Un anno fa, il 5 luglio del 2017, moriva dopo due mesi di sciopero della fame in carcere Doddore Meloni. Un vero e proprio caso di cronaca di una morte annunciata, sul quale sono attualmente ancora in corso, dopo un anno, le indagini della procura di Cagliari. Abbiamo chiesto a Cristina Puddu, avvocato di Doddore, di fare un punto della situazione.
«Le indagini sono ancora in corso – spiega l’avvocato oristanese – e per ora il fascicolo non ha degli imputati. Gli esami medici e l’autopsia sono stati eseguiti già da tempo, ma posso immaginare che ora sia in corso il lavoro investigativo del magistrato che, nella ricostruzione di responsabilità e corresponsabilità, può anche essere molto lungo. Dobbiamo aspettare, ma quando le indagini finiranno spero ci sarà la formulazione delle accuse e l’identificazione degli imputati». Doddore Meloni venne arrestato il 28 luglio 2017 sulla strada statale 292, tra Nuraxinieddu e Massama. L’indipendentista terralbese si stava recando presso il carcere oristanese per consegnarsi, dopo essere stato condannato a 4 anni e 11 mesi per reati fiscali e falso. Lo avrebbe fatto a modo suo, con la bandiera dei Quattro mori e un immancabile discorso, ma i carabinieri di Oristano vollero impedirlo in ogni maniera. Scattò così uno scenografico inseguimento a sirene spiegate, nel tentativo di impedire a Meloni di mettere in scena il copione che lui aveva scelto per il suo arresto. I carabinieri fermarono Meloni appena a nemmeno un chilometro, in linea d’aria, dal carcere di Massama, ma si erano dimenticati il mandato di cattura, tanta era la fretta. Brutta figura e traffico bloccato per tre quarti d’ora, fino a quando il mandato non è arrivato e Meloni si è consegnato, dichiarandosi prigioniero politico e affermando: «La dimostrazione che lo Stato italiano ha paura della mia lotta per l’indipendenza della Sardegna e che vuole impedirmi di parlare» (La Nuova Sardegna). Fin da subito iniziò lo sciopero della fame. Meloni era fisicamente un gigante, alto quasi due metri per quasi 110 chili di peso: il 15 giugno, dopo il primo ricovero in ospedale al SS. Trinità di Cagliari, aveva perso 24 chili. Venne dimesso, e nonostante una mobilitazione da parte di tanti politici, intellettuali e persone comuni, il tribunale si rifiutò di concedere i domiciliari: «Le sue condizioni generali “costantemente monitorate e adeguatamente fronteggiate” – dicono ancora gli atti – “non determinano una situazione di incompatibilità con il regime carcerario. Esse risentono della malnutrizione indotta dal suo comportamento alimentare sostenuto da atteggiamenti rivendicativi e oppositivi”» (L’Unione Sarda). Sembra quasi, a leggere queste parole, che non ci credessero, e che se proprio voleva scioperare allora se ne sarebbe dovuto assumere le conseguenze. Alla fine Doddore Meloni li ha fregati tutti, non scherzava e lo sciopero lo ha portato alle estreme conseguenze. Al di là di eventuali responsabilità giudiziarie, lo Stato dovrebbe rendere conto di come e perché un uomo di 74 anni, in carcere per reati fiscali e non per reati violenti, sia stato lasciato morire così.