Post-verità, alternative facts, bufale… sono questioni all’ordine del giorno nel dibattito
pubblico dei paesi occidentali. Potranno sembrare questioni oziose rispetto alle condizioni dei precari, all’emergenza abitativa o alla crisi dei migranti, ma effettivamente hanno (o perlomeno dovrebbero avere) un peso rilevante nell’elaborazione della strategia politica dei movimenti di sinistra, dal momento che la politica non è influenzata solo dalle condizioni materiali delle persone. Questo ce lo insegna la storia, perché l’avvento del fascismo è stato favorito fra le altre cose dall’appoggio, o perlomeno dalla non ostilità, degli operai, benché fosse chiaro fin da subito il ruolo antisindacale dello squadrismo. Dunque la povertà e l’oppressione non sono una condizione sufficiente perché le classi subalterne si orientino verso i movimenti che puntano alla redistribuzione della ricchezza, poiché entrano in gioco altri fattori, quelli dell’ideologia e dell’immaginario, sovrastrutturali. Solo una lettura ottusa di Marx può credere che il rapporto tra struttura e sovrastruttura sia univoco, quando è evidente come il processo sia circolare.
Ecco, quando per esempio si leggono o sentono interventi anti-migranti, provocati in certe persone dalla lettura acritiche di bufale, la reazione di sdegno non può non colpirci. Tuttavia tale reazione è problematica, perché effettivamente molto spesso coloro che credono a queste panzane e nutrono e autogiustificano così il proprio istinto di rigetto nei confronti del diverso sono appartenenti a quei gruppi sociali che sono, o dovrebbero essere, al centro dell’interesse della sinistra: marginali, lavoratori non specializzati, precari, esclusi dal mondo dell’istruzione, etc. Si tratta di una vera e propria sfida: come integrare nel discorso politico della sinistra queste persone? Come superare e sconfiggere il razzismo o il complottismo? Molte persone, con un livello culturale medio-alto e una posizione di sinistra sia in ambito economico e sociale che in quello dei diritti civili, non accettano questa sfida e si rifugiano in forme di elitarismo che vengono accentuate dagli algoritmi di Facebook, che costruiscono una bolla dentro la quale gli utenti vedono comparire in genere soprattutto contenuti politici di loro gradimento. Queste forme di elitarismo possono essere la richiesta di legare il diritto di voto al livello culturale delle persone (vedi pagine Facebook come Aboliamo il suffragio universale, che dimenticano che per anni il metodo usato negli USA per escludere i neri dal voto sono stati i test di alfabetizzazione) oppure la chiusura in sé stessi del mondo scientifico (vedi il medico osannato per aver detto che “la scienza non è democratica”, dimenticandosi che la scienza funziona proprio quando è aperta al dibattito, sennò diventa come la religione, cioè dogmatica).
Cosa c’entra Gramsci? Beh, l’intellettuale sardo e comunista c’entra sempre, tanto che a volte viene citato un po’ a sproposito (e per carità, magari anche in questo caso!). Nello specifico la lezione gramsciana di cui parliamo, e con lezione bisogna intendere sia l’insegnamento che la nostra lettura dei concetti espressi da Gramsci, è legata al concetto di egemonia, quello che tra tutti ha avuto più fortuna e si è rivelato più fertile. Per Gramsci il potere si manifesta, fra le altre, nella forma dell’egemonia: potremmo dire nell’influenza culturale esercitata da una classe sull’intera società e soprattutto sulle classi subalterne; queste giungono a interiorizzare e a considerare come senso comune la cultura della classe dominante. Il ruolo dell’egemonia culturale è cresciuto sempre di più con l’avanzare della democrazia, a discapito del ruolo del dominio, o dittatura, cioè delle manifestazioni violente e coercitive del potere. I social network cosa sono in fondo se non uno specchio (deformato e deformante) della società? Perciò non sono immuni dalle manifestazioni egemoniche del potere, sebbene il quadro sia ben più complesso di quello di inizio Novecento e il potere sia detenuto da più centri in competizione fra loro. Quando le classi subalterne cadono nella trappola del razzismo bufalaro o del complottismo antivaccinista, bisogna tenere presente la lezione gramsciana sul concetto di egemonia e non lasciarsi prendere dalla rabbia per “l’ignoranza, la creduloneria, la stupidità della gente”. L’anestetizzazione delle masse e la creazione di nemici inventati o falsi problemi per distrarne il potenziale rivoluzionario sono sempre stati gli esiti di un’egemonia culturale incontrastata delle classi dominanti. Talvolta queste classi non sono state in grado di controllare gli esiti di queste situazioni, e così sono sorti i fascismi, ma il più delle volte ha funzionato. Abolire il suffragio universale farebbe proprio il gioco di quelli che che attualmente ci guadagnano di più da questa situazione, cioè quei gruppi sociali che continuano incontrastati ad arricchirsi mentre le masse subalterne credono di aver individuato il vero nemico nel migrante. Ciò che complica il quadro stavolta è che le classi dominanti non aderiscono esplicitamente a quello che è il discorso egemonico fra le classi subalterne: eppure nei fatti è così, perché l’Unione Europea che si trasforma in una fortezza e chiude ogni porta ai migranti è razzista anche più di quelli che credono che i rifugiati stiano portando qui la meningite. A loro fa comodo avere una popolazione ostile nei confronti dei migranti, anche se a parole è tutto il contrario, perché così nessuno si opporrà quando le mura della Fortezza Europa saranno complete; a loro fa comodo perché finché il nemico sono i migranti, la finanza potrà continuare ad arricchirsi sulle nostre spalle. L’unica risposta di sinistra a questa situazione è quella di accettare la sfida e non fuggire nell’elitarismo. Accettare la sfida significa mettere in gioco tutti i propri strumenti per contrastare i discorsi egemonici fra le classi subalterne, armarsi di pazienza e spiegare le cose a tutti, costruire la nostra contro-egemonia fatta di umanità e solidarietà, di vera democrazia e di diritti per tutti, di distribuzione della ricchezza e fine del profitto privato che danneggia la collettività.