Sardegna, i dati sugli sfratti invocano l’autorganizzazione

L’Ufficio Centrale di Statistica del Ministero dell’Interno ha divulgato i dati sugli sfratti nel 2014 che, manco a dirlo, confermano la fase drammatica che sta attraversando la Sardegna.
Contestualmente alla povertà, aumenta l’emergenza abitativa e aumentano gli sfratti.

I provvedimenti di sfratto emessi in Sardegna sono stati 663 (+23,46% rispetto al 2013) di cui 636 per morosità, 2 per necessità del locatore e 25 per finita locazione; la Sardegna è la quinta regione dello stato italiano con la maggiore variazione rispetto all’anno precedente (nel 2013 le sentenze di sfratto furono 537). Il rapporto tra provvedimenti di sfratto e numero di famiglie è di 1/1075.
Le richieste di esecuzione presentate all’Ufficiale Giudiziario sono state 650 con una variazione del +48,40% (438 nel 2013) risultando la quarta regione con la maggiore variazione.
Il numero di sfratti eseguiti con l’intervento dell’Ufficiale Giudiziario aumenta del +19,35% passando dai 310 del 2013 ai 370 del 2014.
Occorre sottolineare che in tutti e tre i casi i dati di SS e provincia sono incompleti per cui i numeri potrebbero aumentare.

Diamo uno sguardo ai dati provinciali.

Oristano
I provvedimenti di sfratto sono stati 37 (+5,61%) e tutti per morosità, 36 nella provincia e solo 1 in città. Nel 2013 furono 35 con una variazione del -1,59 rispetto al 2012.
Le richieste di esecuzione all’U.G. sono state 139 ma non è possibile una comparazione per via della mancanza del dato precedente.
Gli sfratti eseguiti sono stati 70 (+22,81%). Nel 2013 furono 57 con un aumento record del +714,29% rispetto al 2012.

Esemplificativo della situazione oristanese sono le circa 340 domande presentate al Comune nel 2013 per un alloggio popolare mentre l’AREA parla della possibilità massima di 29 alloggi e di nessun progetto futuro per poter andare a soddisfare le richieste, né a Oristano né in tutta la provincia (la nuova sardegna del 5.3.2015)

Cagliari
Nella provincia di Cagliari i provvedimenti di sfratto sono stati 498 (+11,41%) dei quali 476 per morosità (122 in città e 324 in provincia).
Le richieste di esecuzione all’U.G. son state 478 (+21%) e gli sfratti eseguiti 198 (+29,41%).

Nuoro
Nella provincia di Nuoro, che risulta essere la meno colpita, i provvedimenti di sfratto son stati 36 (+89,47%) di cui 35 per morosità (15 in città e 20 in provincia).
Le richieste di esecuzione all’U.G. son state 33 (-8,33%) e gli sfratti eseguiti 10 (-47,37).

Sassari
In provincia di Sassari, per la quale bisogna considerare l’incompletezza dei dati raccolti, i provvedimenti di sfratto sono stati 92 (+155,56%) di cui 88 per morosità.
Anche gli sfratti eseguiti son stati 92 (+13,58%) mentre non si hanno i dati sulle richieste di esecuzione all’U.G.

Di seguito la tabella sull’andamento degli sfratti in Sardegna dal 2005 al 2014:

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Il direttore generale dell’AREA Sebastiano Bitti a Marzo ha dichiarato «Negli ultimi anni si è riproposto in Sardegna un fenomeno quasi scomparso agli inizi degli anni Novanta, quando il numero delle famiglie che vivevano in alloggi di fortuna era ridotto a poche centinaia di casi. L’ultimo censimento Istat rivela invece che in Sardegna ci sono circa 2mila famiglie che vivono e allevano i propri figli in grotte, stalle, magazzini e roulotte» (la Nuova Sardegna del 5.03.2015)

L’Atlante dell’Infanzia 2014 di Save the Children (http://atlante.savethechildren.it/) sottolinea come la variazione nel periodo 2007-2013 dell’incidenza della casa sulla spesa totale delle famiglie con almeno un minore veda incrementi significativi in Sardegna con una variazione del 4,16%; ancora più spaventoso e per nulla slegato dal tema casa è il numero dei 50.000 minori sardi che vivono in povertà assoluta con una allarmante variazione percentuale tra il 2013 e il 2012 del 8,9% (secondi solo alla Calabria).

da L'Atlante dell'Infanzia (a rischio), pag.98
da L’Atlante dell’Infanzia (a rischio), pag.98

In questo emergere di nuove povertà che hanno una loro declinazione proprio nel gran numero di sfratti ciò che si distingue nella nostra terra è il silenzio, che si identifica con la vergogna, con cui si vive questo dramma; come abbiamo scritto in un articolo precedente sullo stesso tema, occorrerebbe un’analisi sociologica che non siamo in grado di fare, ma dalla quale emergerebbero i necessari caratteri che distinguono i nostri paesi dalle dinamiche sociali di una metropoli; e così da una parte la tipicità delle nostre piccole comunità nell’affrontare le difficoltà sociali che si collegano al forte ruolo che svolge la famiglia in senso ampio come comunità di base, luogo confinato fuori dal quale non bisogna portare determinate questioni; dall’altra il carattere tipico di quelle comunità che storicamente non sono state attraversate dal conflitto sociale e quindi prive oggi come ieri di strutture capaci di diffondere e organizzare la cultura del conflitto e il conflitto e in cui non arriva l’eco dei movimenti per la casa che si espande, con importanti risultati, in Italia e in Europa.

Ciò che emerge chiaro è che il pubblico e quindi i governanti non sono in grado di dare o non vogliono dare una risposta al problema della casa e degli sfratti (gli stanziamenti pubblici non sono una mera questione di contabilità pubblica, a monte vi è una scelta di distribuzione delle risorse che è ancor prima una questione di volontà politica); se la legge e la burocrazia sono una forma, il diritto a una vita degna non può per forza coincidervi, non c’è il tempo di coincidervi, e l’autorganizzazione collettiva e la riappropriazione di spazi diventano una necessità. Quel prendersi per mano e sapere di non essere soli nel non riuscire a pagare l’affitto, nel non riuscire a pagare il ticket, nel dire al proprio figlio che non si riesce a pagare la retta universitaria, nel dire al proprio bambino che non può avere lo stesso giocattolo del suo amico perché è già tanto se ci sono due pasti al giorno, nel non poter averlo un figlio perché la precarietà dell’esistente lo nega, quel prendersi per mano è spesso l’unico modo per potersi allontanare da un baratro colmo di nichilismo e depressione, di annullamento di se stessi fatto di droghe e corde al collo.

L’Italia affonda nel cemento con 9 miliardi di metri cubi edificati per nulla, o almeno “per nulla” finché l’occhio non è quello di palazzinari e speculatori; lo Sblocca Italia renziano da’ il via libera a nuove ondate di cementificazione sempre per il ritornello di far ripartire il mattone, sempre per soddisfare gli inappagabili desideri di profitto del capitale che difficilmente andranno a livellare le diseguaglianze sociali e a distribuire alloggi a prezzo di mercato. E’ per questo che ciò che chiediamo non è la costruzione di nuovi alloggi ma il recupero di tutto il patrimonio pubblico disponibile e l’annientamento e la requisizione del patrimonio privato lasciato al degrado, all’incuria, alla speculazione, vero aspetto della dequalificazione e dell’indecoro urbano. Perché ciò non si fa? La domanda è retorica.

Eppure gli ultimi dati Istat, come riporta il prof. Alberto Zipato su il Manifesto del 29.9.2014, parlano di 570.000 edifici in Sardegna di cui 70.000 vuoti o inutilizzati per 1.640.000 di abitanti e del 30% del patrimonio abitativo inutilizzato (sopra di noi solo la Calabria con il 40%).

E’ importante in questa fase dare avvio a una discussione collettiva con tutte le persone che sentono il problema come proprio e provare a dare vita a dei coordinamenti in tutti i territori, capaci di aggregare e organizzare le nuove e future povertà, capaci di resistenza e di offensività e, non scontato a dirsi, antirazzisti.

STOP SFRATTI!
STOP SGOMBERI!

m.c.